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La selezione dei pazienti e gli obiettivi di trattamento per la riduzione della pressione arteriosa ( PA) rimangono controversi, soprattutto in soggetti con PA ai valori superiori della norma e senza precedenti malattie cardiovascolari (CV).
Il 1° maggio è stata pubblicata su Lancet una grande metanalisi finanziata dalla British Heart Foundation e dal National Institute for Health Research britannico.
Con l'accesso ai dati individuali di più di 340.000 pazienti in 48 studi, si tratta della più grande e dettagliata indagine sugli effetti della riduzione farmacologica della PA.
Negli studi analizzati erano confrontati gli effetti di farmaci diversi, di farmaci e placebo o della maggiore o minore intensità del trattamento.
I ricercatori hanno valutato l'effetto del trattamento antipertensivo in soggetti in cui la PA prima del trattamento era inferiore ai valori soglia tipici per diagnosi o terapia antipertensiva e hanno confrontato gli effetti del trattamento in pazienti con e senza comorbidità cardiovascolare concomitante.
I partecipanti sono stati prima divisi in due gruppi: quelli con precedente diagnosi di malattia CV e quelli senza. Ogni gruppo è stato poi ulteriormente stratificato in sette sottogruppi a seconda della pressione sistolica all'ingresso nello studio (<120, 120-129, 130-139, 140-149, 150-159, 160-169 e ≥170 mmHg).
Sono stati esclusi gli studi condotti esclusivamente su pazienti con insufficienza cardiaca. Il 20% dei pazienti aveva una pregressa malattia CV e l'8% dei pazienti senza malattia CV aveva una PA sistolica basale <130 mmHg. L’età media dei partecipanti era circa 65 anni.
In un follow-up medio di 4 anni, una riduzione di 5 mmHg della pressione sistolica ha ridotto del 10% il rischio relativo di eventi cardiovascolari maggiori.
La riduzione del rischio relativo per singolo endpoint è risultata:
Questa enorme meta-analisi suggerisce che una riduzione fissa della PA sia ugualmente efficace per la prevenzione CV primaria e secondaria, anche a livelli di PA basale attualmente considerati troppo bassi per meritare una terapia.
Lo studio propone di modificare la pratica clinica che riserva il trattamento antipertensivo principalmente alle persone con valori di PA superiori alla media.
Gli autori chiedono una revisione delle linee guida per eliminare i livelli arbitrari di PA e la presenza di eventi CV in anamnesi come criteri per di trattamento.
Secondo gli autori la decisione di prescrivere una terapia farmacologica antipertensiva non dovrebbe basarsi semplicemente su una precedente diagnosi di malattia CV o sulla PA attuale di un individuo.
Piuttosto, gli antipertensivi dovrebbero essere considerati uno strumento efficace per prevenire le malattie cardiovascolari quando il rischio cardiovascolare individuale è elevato.
L’effetto del trattamento sulla riduzione del rischio in prevenzione primaria e secondaria indicano come il rischio CV individuale sia un fattore determinante del beneficio assoluto del trattamento. Ancora una volta si conferma l'importanza della valutazione del rischio nei singoli pazienti.
Lo studio non suggerisce una soglia minima di PA per l'inizio o l'intensificazione del trattamento.
Pharmacological blood pressure lowering for primary and secondary prevention of cardiovascular disease across different levels of blood pressure: an individual participant-level data meta-analysis.
Lancet. 2021 May 1;397(10285):1625-1636
Gilberto Lacchia - Pubblicato 10/05/2021 - Aggiornato 10/05/2021
Una grande metanalisi suggerisce che il trattamento antipertensivo possa essere uno strumento di riduzione del rischio cardiovascolare in prevenzione primaria e secondaria, indipendentemente dai valori basali di pressione arteriosa.
La selezione dei pazienti e gli obiettivi di trattamento per la riduzione della pressione arteriosa ( PA) rimangono controversi, soprattutto in soggetti con PA ai valori superiori della norma e senza precedenti malattie cardiovascolari (CV).
Il 1° maggio è stata pubblicata su Lancet una grande metanalisi finanziata dalla British Heart Foundation e dal National Institute for Health Research britannico.
Con l'accesso ai dati individuali di più di 340.000 pazienti in 48 studi, si tratta della più grande e dettagliata indagine sugli effetti della riduzione farmacologica della PA.
Negli studi analizzati erano confrontati gli effetti di farmaci diversi, di farmaci e placebo o della maggiore o minore intensità del trattamento.
I ricercatori hanno valutato l'effetto del trattamento antipertensivo in soggetti in cui la PA prima del trattamento era inferiore ai valori soglia tipici per diagnosi o terapia antipertensiva e hanno confrontato gli effetti del trattamento in pazienti con e senza comorbidità cardiovascolare concomitante.
I partecipanti sono stati prima divisi in due gruppi: quelli con precedente diagnosi di malattia CV e quelli senza. Ogni gruppo è stato poi ulteriormente stratificato in sette sottogruppi a seconda della pressione sistolica all'ingresso nello studio (<120, 120-129, 130-139, 140-149, 150-159, 160-169 e ≥170 mmHg).
Sono stati esclusi gli studi condotti esclusivamente su pazienti con insufficienza cardiaca. Il 20% dei pazienti aveva una pregressa malattia CV e l'8% dei pazienti senza malattia CV aveva una PA sistolica basale <130 mmHg. L’età media dei partecipanti era circa 65 anni.
In un follow-up medio di 4 anni, una riduzione di 5 mmHg della pressione sistolica ha ridotto del 10% il rischio relativo di eventi cardiovascolari maggiori.
La riduzione del rischio relativo per singolo endpoint è risultata:
- Ictus: 13%
- Insufficienza cardiaca: 13%
- Cardiopatia ischemica: 8%
- Morte per malattia cardiovascolare: 5%
Questa enorme meta-analisi suggerisce che una riduzione fissa della PA sia ugualmente efficace per la prevenzione CV primaria e secondaria, anche a livelli di PA basale attualmente considerati troppo bassi per meritare una terapia.
Lo studio propone di modificare la pratica clinica che riserva il trattamento antipertensivo principalmente alle persone con valori di PA superiori alla media.
Gli autori chiedono una revisione delle linee guida per eliminare i livelli arbitrari di PA e la presenza di eventi CV in anamnesi come criteri per di trattamento.
Secondo gli autori la decisione di prescrivere una terapia farmacologica antipertensiva non dovrebbe basarsi semplicemente su una precedente diagnosi di malattia CV o sulla PA attuale di un individuo.
Piuttosto, gli antipertensivi dovrebbero essere considerati uno strumento efficace per prevenire le malattie cardiovascolari quando il rischio cardiovascolare individuale è elevato.
L’effetto del trattamento sulla riduzione del rischio in prevenzione primaria e secondaria indicano come il rischio CV individuale sia un fattore determinante del beneficio assoluto del trattamento. Ancora una volta si conferma l'importanza della valutazione del rischio nei singoli pazienti.
Lo studio non suggerisce una soglia minima di PA per l'inizio o l'intensificazione del trattamento.
Pharmacological blood pressure lowering for primary and secondary prevention of cardiovascular disease across different levels of blood pressure: an individual participant-level data meta-analysis.
Lancet. 2021 May 1;397(10285):1625-1636
Gilberto Lacchia - Pubblicato 10/05/2021 - Aggiornato 10/05/2021
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