Passa ai contenuti principali

279 - Pressione arteriosa: abbassarla comunque?

[Tempo di lettura: 4 min] 

Una grande metanalisi suggerisce che il trattamento antipertensivo possa essere uno strumento di riduzione del rischio cardiovascolare in prevenzione primaria e secondaria, indipendentemente dai valori basali di pressione arteriosa.

La selezione dei pazienti e gli obiettivi di trattamento per la riduzione della pressione arteriosa ( PA) rimangono controversi, soprattutto in soggetti con PA ai valori superiori della norma e senza precedenti malattie cardiovascolari (CV).

Il 1° maggio è stata pubblicata su Lancet una grande metanalisi finanziata dalla British Heart Foundation e dal National Institute for Health Research britannico.

Con l'accesso ai dati individuali di più di 340.000 pazienti in 48 studi, si tratta della più grande e dettagliata indagine sugli effetti della riduzione farmacologica della PA.

Negli studi analizzati erano confrontati gli effetti di farmaci diversi, di farmaci e placebo o della maggiore o minore intensità del trattamento.

I ricercatori hanno valutato l'effetto del trattamento antipertensivo in soggetti in cui la PA prima del trattamento era inferiore ai valori soglia tipici per diagnosi o terapia antipertensiva e hanno confrontato gli effetti del trattamento in pazienti con e senza comorbidità cardiovascolare concomitante.

I partecipanti sono stati prima divisi in due gruppi: quelli con precedente diagnosi di malattia CV e quelli senza. Ogni gruppo è stato poi ulteriormente stratificato in sette sottogruppi a seconda della pressione sistolica all'ingresso nello studio (<120, 120-129, 130-139, 140-149, 150-159, 160-169 e ≥170 mmHg).

Sono stati esclusi gli studi condotti esclusivamente su pazienti con insufficienza cardiaca. Il 20% dei pazienti aveva una pregressa malattia CV e l'8% dei pazienti senza malattia CV aveva una PA sistolica basale <130 mmHg. L’età media dei partecipanti era circa 65 anni.

In un follow-up medio di 4 anni, una riduzione di 5 mmHg della pressione sistolica ha ridotto del 10% il rischio relativo di eventi cardiovascolari maggiori.

La riduzione del rischio relativo per singolo endpoint è risultata:
  • Ictus: 13%
  • Insufficienza cardiaca: 13%
  • Cardiopatia ischemica: 8%
  • Morte per malattia cardiovascolare: 5%
La riduzione del rischio relativo era proporzionale all'intensità della riduzione pressoria. Né la presenza di malattia cardiovascolare né il livello di PA all'ingresso nello studio modificavano l'effetto del trattamento.

Questa enorme meta-analisi suggerisce che una riduzione fissa della PA sia ugualmente efficace per la prevenzione CV primaria e secondaria, anche a livelli di PA basale attualmente considerati troppo bassi per meritare una terapia.

Lo studio propone di modificare la pratica clinica che riserva il trattamento antipertensivo principalmente alle persone con valori di PA superiori alla media.

Gli autori chiedono una revisione delle linee guida per eliminare i livelli arbitrari di PA e la presenza di eventi CV in anamnesi come criteri per di trattamento.

Secondo gli autori la decisione di prescrivere una terapia farmacologica antipertensiva non dovrebbe basarsi semplicemente su una precedente diagnosi di malattia CV o sulla PA attuale di un individuo.

Piuttosto, gli antipertensivi dovrebbero essere considerati uno strumento efficace per prevenire le malattie cardiovascolari quando il rischio cardiovascolare individuale è elevato.

L’effetto del trattamento sulla riduzione del rischio in prevenzione primaria e secondaria indicano come il rischio CV individuale sia un fattore determinante del beneficio assoluto del trattamento. Ancora una volta si conferma l'importanza della valutazione del rischio nei singoli pazienti.

Lo studio non suggerisce una soglia minima di PA per l'inizio o l'intensificazione del trattamento.



Pharmacological blood pressure lowering for primary and secondary prevention of cardiovascular disease across different levels of blood pressure: an individual participant-level data meta-analysis.
Lancet. 2021 May 1;397(10285):1625-1636




Gilberto Lacchia - Pubblicato 10/05/2021 - Aggiornato 10/05/2021



Commenti

Post popolari in questo blog

266 - Oppioidi e antidepressivi: attenti alle interazioni pericolose

[Tempo di lettura: 7 min]  Associare oppioidi e farmaci antidepressivi espone a diversi tipi di interazione. Alcuni oppioidi aumentano l'attività serotoninergica e possono indurre una sindrome serotoninergica. In certi casi gli SSRI possono bloccare il metabolismo degli oppioidi riducendo l’effetto analgesico di alcuni o aumentando le concentrazioni e il rischio di effetti avversi di altri. La strategia preventiva più semplice è quella di evitare la prescrizione degli oppioidi associati a maggiori rischi di interazione. L'effetto analgesico degli oppioidi è mediato attraverso tre recettori oppioidi principali, mu , delta e kappa .  Molti oppioidi, soprattutto quelli sintetici, agiscono anche su altri target, bloccando per esempio la ricaptazione di serotonina e noradrenalina e i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Alcuni oppioidi inibiscono il trasportatore di serotonina che aumenta le concentrazioni di serotonina nella sinapsi e quindi l'effetto postsinaptico della se...

304 - Scialorrea da farmaci

[Tempo di lettura: 4 min]    Diversi farmaci, utilizzati soprattutto in psichiatria, possono causare ipersalivazione. È un problema che può ridurre la qualità di vita dei pazienti e a volte avere complicanze gravi. La scialorrea (ipersalivazione) è un sintomo soggettivo, percepito dal paziente come eccessiva produzione di saliva. A volte si presenta con una fuoriuscita di saliva dalla bocca perché il soggetto non riesce a trattenerla dietro la barriera labiale. È un fenomeno comune nei neonati, ma è considerata anomala dopo i quattro anni. Può essere causata dalla diminuzione della frequenza di deglutizione o dall’aumento della produzione di saliva. Le cause possono essere locali (odontalgia, protesi mal posizionate, infiammazioni o infezioni orali), neurologiche (nevralgia trigeminale, tumori cerebrali, morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica), tossiche (mercurio, iodio, fluoruro di sodio, funghi velenosi, nicotina) o farmacologiche. La scialorrea può avere div...

331 - Valutare gli aumenti della creatinchinasi

[Tempo di lettura: 8 min]  Un aumento della creatinchinasi è un riscontro frequente in medicina generale. La maggior parte dei casi lievi dipendono da cause transitorie e autolimitantesi. In alcune situazioni è opportuna una valutazione diagnostica più approfondita. La creatinchinasi (CK) è l'enzima più utilizzato per diagnosi e follow up delle malattie muscolari. Le concentrazioni sieriche aumentano in risposta alla lesione muscolare ed è l'indicatore più sensibile di danno muscolare e il miglior parametro del decorso della lesione muscolare. La CK è un dimero e si presenta in tre isoenzimi diversi (MM, MB e BB), che possono essere distinti all’elettroforesi. Il muscolo scheletrico ha la più alta concentrazione di CK di qualsiasi tessuto, con più del 99% MM e piccole quantità di MB. Il tessuto cardiaco ha la più alta concentrazione di CK-MB, che rappresenta circa il 20% della CK cardiaca (la troponina I è un marker più specifico di danno miocardico rispetto alla CK-MB, uti...