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Visualizzazione dei post da novembre, 2018

68 - Il punto sugli anticoagulanti orali diretti

Tempo di lettura: 6 min A fronte di una elevata prevalenza di fibrillazione atriale intorno al 5% tra i 60 e i 70 anni e fino al 17% negli ultraottantenni, la terapia anticoagulante orale (TAO) con il warfarin riduce il rischio di ictus del 67% ma con un'importante percentuale di eventi emorragici e con notevoli difficoltà pratiche di gestione. L'introduzione dei cosiddetti anticoagulanti orali diretti ha aumentato le opzioni terapeutiche mettendo a disposizione farmaci ugualmente efficaci ma con un profilo di sicurezza apparentemente migliore in termini di riduzione di sanguinamenti, soprattutto quelli intracranici. Anche se non li prescriviamo direttamente, è importante conoscerli per poter gestire il monitoraggio e le diverse problematiche dei pazienti in terapia con questo tipo di farmaci che tendono a essere sempre più utilizzati in alternativa al warfarin. Gli anticoagulanti orali diretti (Direct Oral AntiCoagulants, DOACs), anche noti come Nuovi Anticoagulanti Ora

67 - L'EMA raccomanda di limitare l'uso dei chinolonici

A seguito di una revisione degli effetti indesiderati dei fluorochinolonici, l'agenzia europea per i medicinali raccomanda di limitare la prescrizione di questi farmaci a infezioni gravi o per le quali non ci siano alternative più sicure. In particolare il comitato ha raccomandato di non usare i chinolonici  per trattare infezioni non gravi o che potrebbero migliorare senza trattamento (come quelle delle alte vie aeree); per la prevenzione della diarrea del viaggiatore o delle infezioni ricorrenti delle basse vie urinarie; per trattare pazienti che hanno avuto in precedenza gravi effetti collaterali con un chinolonico; per il trattamento di infezioni lievi o moderatamente gravi a meno che non possano essere usati altri antibatterici comunemente raccomandati per queste infezioni. Viene raccomandata cautela specialmente negli anziani, in pazienti con problemi renali, in pazienti che hanno avuto un trapianto di organo o quelli che sono stati trattati con un corticosteroide sistemico

66 - Vitamina D: da panacea a placebo?

Tempo di lettura: 8 min La letteratura scientifica sull'integrazione con vitamina D è sterminata. Solo su Pubmed , cercando " vitamin d supplementation " si trovano più di 8400 riferimenti dal 2000 a oggi (oltre 44.000 su Google Scholar ). L'integrazione è stata studiata per un gran numero di condizioni (demenza, diabete, asma, epato/nefropatie, fibrosi cistica, polmonite infantile, prevenzione oncologica, prevenzione delle cadute, dolore cronico e naturalmente patologie ossee). I primi studi tendevano ad attribuire alla vitamina D un valore di panacea universale e questo ne ha indotto una prescrizione su larga scala. A parte alcune situazioni "di nicchia" in cui c'è un certo consenso su dosaggio e/o integrazione con vitamina D (rachitismo, osteomalacia, sindromi da malassorbimento, chirurgia bariatrica, nefropatie croniche, terapie prolungate con steroidi), la maggior parte dei casi in cui richiediamo il dosaggio e prescriviamo la vitamina D hann

65 - Aspirina in prevenzione primaria: più dubbi che certezze

L'efficacia dell'aspirina nella prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari (CV) è ben stabilita, mentre non è chiara nella prevenzione primaria sulle attuali popolazioni di pazienti.  L'idea comune che l'aspirina sia utile in prevenzione primaria si basa sui primi studi di prevenzione condotti in periodi in cui il fumo era molto diffuso, il controllo della pressione arteriosa subottimale ed era difficile una terapia ipolipemizzante aggressiva. Recentemente sono stati pubblicati (Lancet e NEJM) tre studi che condividevano l'obiettivo comune di valutare il livello di rischio che giustifica l'uso dell'aspirina in prevenzione primaria. ARRIVE ( Aspirin to Reduce Risk of Initial Vascular Events ; finanziato da Bayer): oltre 12000 soggetti senza malattie cardiovascolari in anamnesi, considerati a rischio moderato, sono stati randomizzati a una terapia con aspirina (100 mg/die) o placebo. I criteri di inclusione erano età ≥55 anni e due o più fattori

64 - Utilizzo dell'amitriptilina nella lombalgia cronica

Tempo di lettura: 3 min La lombalgia cronica (durata >12 settimane), non rara anche in giovane età, è un disturbo frequente in medicina generale, frustrante per il paziente e per il medico. Negli ultimi anni le diverse terapie farmacologiche utilizzate sono state valutate in studi controllati e non ne sono uscite bene: il paracetamolo è sconsigliato nelle linee guida per la sua ridotta efficacia in questo contesto, i FANS hanno pochi vantaggi e non pochi svantaggi rispetto al placebo, gli steroidi non hanno un'efficacia dimostrata in acuto o in cronico, gli oppiacei sono sconsigliati anche per il rischio di dipendenza, soprattutto nelle forme croniche, gli antidepressivi SSRI non si sono dimostrati migliori del placebo, gli anticonvulsivanti (gabapentin, pregabalin) non sembrano fornire un beneficio apprezzabile. Uno studio pubblicato su JAMA Internal Medicine pare suggerire che l'amitriptilina (AMT) a basse dosi possa avere una certa utilità nella lombalgia cronic

63 - Aspirina per l'esofago di Barrett?

In un ampio studio multicentrico, finanziato da Astra Zeneca e durato più di 8 anni, l'uso quotidiano di esomeprazolo ad alto dosaggio e (dato controintuitivo) aspirina a dose piena è risultato utile in pazienti con diagnosi di esofago di Barrett. Oltre 2500 pazienti con esofago di Barrett sono stati randomizzati a una terapia con esomeprazolo a bassa dose (20 mg una volta al giorno) o alta dose (40 mg due volte al giorno) con o senza aspirina (una volta al giorno a 300 o 325 mg). La studio ha valutato mortalità o progressione dell'esofago di Barrett verso displasia di alto grado o cancro. Il follow-up mediano è stato di 9 anni. I risultati sono stati i seguenti: Il PPI ad alto dosaggio era superiore al PPI a basso dosaggio nel ritardare l'endpoint nel tempo. L'uso dell'aspirina è risultato superiore al non-uso quando sono stati esclusi dall'analisi i pazienti che assumevano anche FANS. L'associazione di PPI ad alto dosaggio e aspirina quotidiana

62 - Efficacia delle statine in prevenzione primaria negli anziani non diabetici

Tempo di lettura: 3 min Per valutare l'efficacia delle statine nei pazienti anziani, è stato effettuato uno studio retrospettivo su una coorte spagnola di quasi 50.000 soggetti (database catalano di medicina generale) di 75 anni e più, inizialmente senza malattie cardiovascolari e che non assumevano statine. Durante un follow-up mediano di circa 8 anni, il 15% ha iniziato una terapia con statine. Sia negli anziani (75-84 anni) che nei soggetti molto anziani (85+) non diabetici, con l'assunzione di statine non si osservava un minor rischio di malattie cardiovascolari o di mortalità per tutte le cause. Tra i diabetici, l'uso di statine era associato a un minor rischio CV e di mortalità per tutte le cause (0,84) nella fascia di età 75-84 anni mentre l'effetto protettivo non era evidente nei soggetti molto anziani. Questo studio conferma l'osservazione di uno studio pubblicato lo scorso anno su JAMA relativo a un'analisi secondaria dei dati del braccio dello stud