Passa ai contenuti principali

291 - Danno epatico da amoxicillina-acido clavulanico

[Tempo di lettura: 6 min] 
L’associazione amoxicillina-acido clavulanico è l’antibiotico più frequentemente associato a danno epatico. L’effetto avverso è principalmente dovuto all’acido clavulanico. È prudente riservare questa associazione alle infezioni da batteri resistenti e non utilizzarla come prima scelta.

Nella maggior parte degli studi, tra i vari antibiotici che possono causare un danno epatico, quella più comune è l’associazione amoxicillina-acido clavulanico (AAC). Si tratta anche della causa più comune di danno epatico da farmaci dopo il paracetamolo.

L’effetto avverso è probabilmente dovuto alla presenza dell’acido clavulanico, un inibitore delle beta-lattamasi, pressoché privo di attività antibatterica, utilizzato per proteggere penicilline e cefalosporine dagli enzimi prodotti da batteri resistenti.

Per altri inibitori della beta-lattamasi (tazobactam e sulbactam) non ci sono segnalazioni di un danno epatico simile, che invece è stato segnalato con altre penicilline quando associate all’acido clavulanico (ticarcillina/clavulanato).

La riesposizione all'amoxicillina da sola non è associata a recidive, mentre la riesposizione all'associazione è solitamente seguita più rapidamente da un un danno epatico grave, con colestasi prolungata e possibile evoluzione in cirrosi.

Viene ipotizzato un meccanismo immunomediato. L’incidenza è maggiore con il prolungamento della terapia: ciò ha fatto ipotizzare che l’accumulo di alcuni metaboliti tossici aumenti la probabilità di sensibilizzazione al farmaco.

Il danno epatico è di tipo colestatico o misto. Il danno epatocellulare è spesso moderato.

Si tratta di reazioni non frequenti, ma non rare, dato il numero elevato di prescrizioni in tutto il mondo.

Nel database dell’OMS Vigiaccess gli effetti avversi epatici segnalati per l’AAC rappresentano il 5.5% del totale delle segnalazioni per l’AAC. Le epatiti colestatiche raggiungono il 18% degli effetti avversi epatici.

 In Italia l’AAC è l’antibiotico più utilizzato sia in ambito territoriale che ospedaliero. L’AAC è da anni il primo antibiotico in termini di consumo e di spesa pro capite (quasi 6 dosi giornaliere/1000 abitanti), mentre l’amoxicillina ha un trend inverso con un numero di prescrizioni cinque volte inferiore.

In uno studio prospettico islandese, il danno epatico da AAC ha interessato 1 su 2350 pazienti ambulatoriali e 1 su 700 ricoverati. Questa differenza può essere dovuta a un più capillare monitoraggio degli enzimi epatici nei ricoverati, ma anche a una maggiore epatotossicità della somministrazione endovenosa.

Il danno epatico è tipicamente tardivo, con una latenza media di 16-30 giorni dopo l'inizio della terapia. Il coinvolgimento del fegato a volte può evidenziarsi fino a 6 settimane dopo la sospensione del farmaco, complicando ulteriormente la diagnosi.

Il quadro clinico comprende ittero, prurito e disturbi gastrointestinali.

Agli ematochimici risultano aumentati l’ALT, in misura maggiore dell’AST, la fosfatasi alcalina e la bilirubina.

I livelli sierici di ALT e AST raggiungono il picco rapidamente dopo l'esordio (4-5 giorni), mentre fosfatasi alcalina e bilirubina in circa 15 giorni. 

In media le transaminasi migliorano più rapidamente di fosfatasi alcalina e bilirubina totale. ALT e AST si normalizzano in media entro tre mesi.

Benché l’ittero possa essere prolungato, la maggior parte dei pazienti recupera completamente, ma spesso lentamente, nel corso di 1-4 mesi dopo la sospensione del farmaco.

In uno studio condotto in Spagna, un esito grave è stato osservato solo nel 3% circa dei casi; l’effetto avverso era più comune negli uomini rispetto alle donne, ma in 3 donne è stato necessario un trapianto di fegato.

ll coinvolgimento epatico aumenta con l’età (più del 50% dei casi oltre i 60 anni) e il rischio è maggiore se il trattamento dura più di 14 giorni. I casi pediatrici segnalati sono pochi.

 In pratica - I dati contenuti nel rapporto AIFA sull’uso degli antibiotici in Italia suggeriscono “un probabile sovrautilizzo di questa associazione, anche nei casi in cui risulterebbe efficace la sola amoxicillina, che ha uno spettro d’azione più selettivo e quindi un minor impatto sulle resistenze.

Sempre l’AIFA raccomanda di utilizzare "la monoterapia con amoxicillina ogni volta che è possibile, al posto dell’associazione AAC. L’amoxicillina da sola, oltre a essere meglio tollerata, risulta infatti altrettanto efficace in un’elevata percentuale di casi.

"Ciò è particolarmente vero in ambito pediatrico dove il principale patogeno delle infezioni respiratorie batteriche è lo Streptococcus pneumoniae che ha come maggior meccanismo di resistenza alle penicilline la produzione di PBPs (penicillin-binding proteins) alterate; in questi casi l’aggiunta dell’acido clavulanico non determina alcun beneficio in termini di efficacia terapeutica."
 
L’AAC dovrebbe essere riservata alle infezioni batteriche resistenti e somministrata per il periodo più breve possibile.

Si raccomanda di ponderare attentamente la prescrizione dell’associazione con l’inibitore delle beta-lattamasi in pazienti con fattori di rischio per epatopatie o in trattamento con altri farmaci potenzialmente epatotossici, come paracetamolo, azitromicina o claritromicina.  


Amoxicillina con e senza acido clavulanico e reazioni epatiche
Farmacovigilanza.eu

Amoxicillin-Clavulanate-Induced Liver Injury.
Dig Dis Sci. 2016 Aug;61(8):2406-2416

Amoxicillin-Clavulanate
LiverTox: Clinical and Research Information on Drug-Induced Liver Injury

Drug-induced liver injury due to antibiotics.
Scand J Gastroenterol. 2017 Jun-Jul;52(6-7):617-623

Liver damage with the amoxicillin-clavulanate combination
Prescrire Int. 2008 Feb;17(93):21.

L’uso degli antibiotici in Italia - Rapporto Nazionale anno 2019
AIFA


📢 Ricevi le notifiche dei post


Canale Telegram Bacheca WhatsApp

Commenti

Post popolari in questo blog

266 - Oppioidi e antidepressivi: attenti alle interazioni pericolose

[Tempo di lettura: 7 min]  Associare oppioidi e farmaci antidepressivi espone a diversi tipi di interazione. Alcuni oppioidi aumentano l'attività serotoninergica e possono indurre una sindrome serotoninergica. In certi casi gli SSRI possono bloccare il metabolismo degli oppioidi riducendo l’effetto analgesico di alcuni o aumentando le concentrazioni e il rischio di effetti avversi di altri. La strategia preventiva più semplice è quella di evitare la prescrizione degli oppioidi associati a maggiori rischi di interazione. L'effetto analgesico degli oppioidi è mediato attraverso tre recettori oppioidi principali, mu , delta e kappa .  Molti oppioidi, soprattutto quelli sintetici, agiscono anche su altri target, bloccando per esempio la ricaptazione di serotonina e noradrenalina e i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Alcuni oppioidi inibiscono il trasportatore di serotonina che aumenta le concentrazioni di serotonina nella sinapsi e quindi l'effetto postsinaptico della se

392 - Tremore indotto da farmaci

Tempo di lettura: 5 min Il tremore è un sintomo molto frequente e non è sempre facile stabilire se sia causato o esacerbato da un farmaco. Si classifica in base al comportamento associato: tremore d'azione di tipo cinetico (durante un movimento volontario) o posturale (mantenimento di una postura), tremore a riposo e tremore intenzionale (durante un movimento diretto a un obiettivo). Alcuni fattori utili per la diagnosi del tremore da farmaci sono: 1) esclusione di altre cause mediche di tremore ( p.es . ipertiroidismo, ipoglicemia); 2) rapporto temporale con l'inizio della terapia; 3) rapporto dose-risposta (l'aumento della dose peggiora il tremore e viceversa); e 4) mancanza di progressione (i tremori del morbo di Parkinson e i tremori essenziali si modificano nel tempo). I pazienti più a rischio sono quelli più anziani, per diversi motivi: Interazione con le patologie di base ( p.es . il parkinsonismo indotto da metoclopramide è più intenso in caso di

304 - Scialorrea da farmaci

[Tempo di lettura: 4 min]    Diversi farmaci, utilizzati soprattutto in psichiatria, possono causare ipersalivazione. È un problema che può ridurre la qualità di vita dei pazienti e a volte avere complicanze gravi. La scialorrea (ipersalivazione) è un sintomo soggettivo, percepito dal paziente come eccessiva produzione di saliva. A volte si presenta con una fuoriuscita di saliva dalla bocca perché il soggetto non riesce a trattenerla dietro la barriera labiale. È un fenomeno comune nei neonati, ma è considerata anomala dopo i quattro anni. Può essere causata dalla diminuzione della frequenza di deglutizione o dall’aumento della produzione di saliva. Le cause possono essere locali (odontalgia, protesi mal posizionate, infiammazioni o infezioni orali), neurologiche (nevralgia trigeminale, tumori cerebrali, morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica), tossiche (mercurio, iodio, fluoruro di sodio, funghi velenosi, nicotina) o farmacologiche. La scialorrea può avere diverse cons