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483 - Nota 85: il punto sui farmaci per il morbo di Alzheimer

[Tempo di lettura: 10 min] 
Dopo un quarto di secolo dalla prima approvazione, i farmaci per il morbo di Alzheimer non hanno dimostrato reali e sostanziali benefici clinici. L’AIFA ha finalmente revisionato la nota 85, richiedendo una valutazione a breve termine dei pazienti in terapia e un minimo di efficacia nella valutazione clinica complessiva.

A fine marzo 2023 l’AIFA ha modificato la nota 85 sulla prescrizione dei farmaci per il trattamento della malattia di Alzheimer.

I farmaci con questa indicazione devono essere prescritti tenendo conto della risposta clinica che va rivalutata periodicamente.

La prescrizione è limitata a pazienti con malattia di Alzheimer:
  • di grado lieve, con MMSE tra 21 e 26 (donepezil, rivastigmina, galantamina)
  • di grado moderato, con MMSE tra 10 e 20 (donepezil, rivastigmina, galantamina, memantina)
  • di grado severo, con MMSE <10 (memantina)
La risposta clinica deve essere monitorata nei CDCD a intervalli regolari:
  • a 1 mese (valutazione degli effetti collaterali e aggiustamento del piano terapeutico)
  • a 3 mesi (prima valutazione della risposta e monitoraggio della tollerabilità)
  • ogni 6 mesi (rivalutazione della risposta e della tollerabilità).
Considerato che l'andamento clinico nei primi mesi di terapia è fortemente indicativo dell'andamento a lungo termine, la nota 85 precisa che la rimborsabilità del trattamento oltre i 3 mesi deve basarsi sull’assenza di peggioramento e su un giudizio di efficacia nel contesto di una valutazione clinica complessiva.

I primi farmaci autorizzati per la malattia di Alzheimer sono apparsi negli anni '90.

Il primo anticolinesterasico, la tacrina (Cognex°), è stato approvato dalla FDA nel 1993. Oltre alla scarsa biodisponibilità che richiedeva 4 somministrazioni al giorno, il suo utilizzo era limitato dagli effetti avversi, anche gravi, come l’epatotossicità. Dopo una decina di anni è stata ritirata dal commercio.

Con l’approvazione del donepezil (Aricept°), la prima valutazione sul numero di giugno 1998 della rivista Prescrire era possibilista, anche perché il confronto era con la tacrina: “Il modesto effetto sintomatico di donepezil non ha dimostrato di essere superiore a quello della tacrina nei pazienti con malattia di Alzheimer. Tuttavia, attualmente, il profilo degli effetti avversi di donepezil sembra essere più favorevole rispetto a quello della tacrina.”

Già allora i revisori di Prescrire, nelle loro conclusioni sul donepezil, precisavano che gli effetti erano modesti, dimostrabili solo sulle scale psicometriche, e il loro reale impatto clinico non era noto.

L’articolo concludeva che “nel complesso, sembra che solo il 10% dei pazienti possa avere un potenziale beneficio clinico da un effetto specifico del donepezil. In ogni caso, questi farmaci non sono in grado di arrestare il deterioramento delle funzioni cognitive; nella migliore delle ipotesi, lo ritardano solo di qualche mese nei pazienti meno gravi.”

Nel corso degli anni si sono accumulati dati di valutazione clinica, che hanno messo in luce che i farmaci che man mano sono stati approvati per il morbo di Alzheimer hanno un’efficacia minima o transitoria.

Nessuno di questi farmaci ha dimostrato di essere efficace per rallentare la progressione della malattia, mentre il profilo di sicurezza si è arricchito di effetti avversi gravi, a volte fatali, come i disturbi del ritmo cardiaco.

Ciononostante, queste terapie vengono utilizzate per trattamenti prolungati e possono anche comportare interazioni pericolose con altri farmaci di uso comune negli anziani.

Gli anticolinesterasici attualmente disponibili, donepezil, galantamina e rivastigmina, possono causare problemi digestivi (anche vomito grave); problemi neuropsicologici (confusione, convulsioni, allucinazioni, agitazione, comportamenti aggressivi); disturbi cardiaci (bradicardia, sincopi, allungamento dell’intervallo QT).

La memantina, un antagonista non competitivo del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), può causare sintomi anticolinergici periferici e centrali, vertigini, ipertensione arteriosa, convulsioni e disturbi psichici (allucinazioni e confusione che talvolta sfociano in comportamenti violenti).

Negli ultimi dieci anni, la rivista Prescrire ha sempre inserito tutti questi farmaci nella lista annuale di quelli da non utilizzare perché ritenuti con un rapporto rischio/beneficio sfavorevole.

In Francia, per inserire un farmaco nella lista di quelli rimborsati dalle assicurazioni sociali, viene valutato il cosiddetto servizio medico reso (Service Médical Rendu).

Questo criterio prende in considerazione efficacia ed effetti avversi, la collocazione del farmaco nella strategia terapeutica, la natura preventiva, curativa o sintomatica del medicinale e il suo valore per la salute pubblica.

Anche grazie alle pressioni decennali della rivista Prescrire, a fine 2016 l'Autorità Nazionale Francese per la Salute (HAS) aveva concluso che il servizio medico reso dei farmaci per l’Alzheimer era insufficiente e ne aveva richiesto la rimozione dal prontuario.

Prima nazione in Europa a prendere con coraggio una misura simile, dal 1° agosto 2018 questi farmaci non vengono più rimborsati o approvati per uso pubblico in Francia.

Oggi, con la revisione della nota 85, dopo venticinque anni di utilizzo dei farmaci per il morbo di Alzheimer, anche l’AIFA pone un limite alla rimborsabilità basandosi su evidenze scientifiche.

Nella motivazione della nota 85 si osserva che il beneficio di queste terapie è visibile solo sulle scale psicometriche: il donepezil produrrebbe un miglioramento del MMSE di 1,05 punti su 30 rispetto al placebo e di 2,67 punti su 70 della scala ADAS-Cog.

Lo studio britannico AD 2000 (Lancet 2004) viene preso in particolare considerazione, essendo quello con il follow-up più lungo (3 anni) e uno dei pochi ad aver utilizzato il rischio di istituzionalizzazione come outcome primario.

Donepezil non ha prodotto alcuna riduzione misurabile della frequenza di istituzionalizzazione né di progressione della disabilità. Sono fattori chiave che determinano il rapporto costo-efficacia complessivo del trattamento, che in questo caso non risultava favorevole. 

I pazienti trattati con donepezil mostravano un ritmo di peggioramento nel tempo analogo al gruppo placebo. I 167 pazienti che hanno sospeso il trattamento in cieco con donepezil durante lo studio, non hanno mostrato problemi dopo la sospensione.

L’uso del donepezil non ha, inoltre, ridotto i costi assistenziali.

Il mantenimento della rimborsabilità per i farmaci per l’Alzheimer viene motivato dalla nota 85 con l’osservazione che la percentuale attesa di responder (soggetti con un qualsiasi miglioramento accertabile mediante una scala clinica globale) è circa del 10%.

Dato che non è possibile identificare in anticipo i responder, la strategia scelta dall’AIFA (come quella suggerita dal NICE britannico) è quella di rivalutare la prosecuzione della terapia dopo 3 mesi.

"Solo i pazienti che dopo 3 mesi di trattamento non peggiorano o mostrano un miglioramento sulla base di un giudizio clinico complessivo rispetto alla baseline saranno candidabili a continuare la terapia."

L’AIFA, tuttavia, conclude specificando che non è chiaro se eventuali miglioramenti rilevabili agli outcome surrogati (scale di valutazione) corrispondono a un reale beneficio clinico per i pazienti con malattia di Alzheimer.

L’AIFA fa inoltre osservare che:
  • le terapie disponibili producono benefici cognitivi e funzionali di modesta entità;
  • sono benefici con ricadute lievi sugli esiti clinici e sociali rilevanti;
  • il principale limite alla completezza e applicabilità dei dati provenienti da studi randomizzati e controllati è la mancanza di follow-up a lungo termine;
  • il preoccupante profilo di sicurezza impone il monitoraggio dell'intervallo QTc come predittore di possibili complicanze aritmiche (torsione di punta).
Nella parte finale del commento alla nota 85, si ribadisce "che il trattamento deve essere interrotto nel caso di scarsa tollerabilità o scarsa compliance e in tutti i casi in cui, secondo il giudizio dell'unità valutativa, il beneficio clinico sia insufficiente per giustificare una continuazione della terapia." (Il grassetto è mio.)

Dopo un quarto di secolo, le agenzie regolatorie sono obbligate a riconoscere ciò che era già abbastanza intuibile fin dai primi studi di confronto con il placebo.

Come sostiene da anni la rivista Prescrire, il denaro pubblico sarebbe meglio impiegato a favore di interventi non farmacologici per i malati di Alzheimer e i loro famigliari, concentrandosi su supporti nell'organizzazione della vita quotidiana, sul mantenimento dell'attività, sul sostegno e sull'assistenza a famiglia ed entourage.

Anche vent'anni fa, gli autori dello studio AD 2000 concludevano che, "sulla base dei risultati, medici e  finanziatori dell'assistenza sanitaria hanno validi motivi per chiedersi se altri utilizzi delle scarse risorse destinate alla cura della demenza possono rendere di più rispetto alla prescrizione di routine degli inibitori della colinesterasi."

Si spera che l’EMA faccia tesoro di queste esperienze quando dovrà esprimersi sull’ultima proposta dell’industria: l’aducanumab, un anticorpo contro le placche di amiloide beta, con un costo annuale di 56000 dollari, approvato dalla FDA, senza dimostrazioni di efficacia clinica.




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Nota 85
AIFA - Aggiornamento del 28/03/2023

Deprescribing dementia drugs
BMJ 2020;368:m650

Donepezil, galantamine, rivastigmine and memantine for the treatment of Alzheimer's disease
NICE - Last updated: 20 June 2018

Long-term donepezil treatment in 565 patients with Alzheimer's disease (AD2000): randomised double-blind trial.
Lancet. 2004 Jun 26;363(9427):2105-15

Donepezil: new preparation. Moderate efficacy in Alzheimer's disease.
Prescrire Int. 1998 Oct;7(37):146-7



Gilberto Lacchia - Pubblicato 22/04/2023 - Aggiornato 22/04/2023

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