[Tempo di lettura: 10 min]
L’ivabradina, approvata in Europa da più di 15 anni, è un farmaco che agisce sul nodo del seno modulando la frequenza cardiaca. È indicata come terapia sintomatica dell’angina pectoris e nel trattamento dell’insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica. Non c’è unanimità sulla sua efficacia e sicurezza e secondo alcuni il rapporto rischio/beneficio non sarebbe favorevole.
Una frequenza cardiaca elevata è considerata un marker di rischio cardiovascolare.
L'ivabradina, chimicamente derivata dal verapamil, è un inibitore selettivo del pacemaker del nodo del seno che blocca un canale ionico regolato da nucleotidi ciclici (HCN) attivato dall'iperpolarizzazione e inibisce selettivamente la corrente I(f), riducendo così la frequenza cardiaca, senza influenzare la pressione arteriosa o la funzione sistolica del ventricolo sinistro.
La frequenza sinusale viene ridotta prolungando la fase di depolarizzazione lenta. Gli effetti cardiaci sono specifici per il nodo del seno senza effetti sui tempi di conduzione intraatriale, atrioventricolare o intraventricolare, né sulla contrattilità miocardica o sulla ripolarizzazione ventricolare.
Farmacocinetica
La biodisponibilità assoluta delle compresse rivestite con film è di circa il 40%. Il cibo ritarda l’assorbimento di circa un’ora e ne aumenta la presenza nel plasma dal 20 al 30%. In scheda tecnica si raccomanda l'assunzione durante i pasti per diminuire la variabilità di concentrazione intraindividuale.
Il farmaco è ampiamente metabolizzato da fegato e intestino con reazioni di ossidazioni catalizzate solo dal citocromo CYP3A4. L’ivabradina ha una bassa affinità per il CYP3A4 ed è improbabile che modifichi il metabolismo o le concentrazioni plasmatiche di substrati del CYP3A4. Al contrario, inibitori e induttori di questo isoenzima possono modificare sostanzialmente le concentrazioni plasmatiche dell’ivabradina.
L’emivita è di circa 11 ore.
La clearance renale dell'ivabradina non supera il 20% e non è necessario un aggiustamento posologico nei pazienti con insufficienza renale e clearance della creatinina superiore a 15 ml/min. Al di sotto di questo valore di clearance non esistono dati ed è consigliata cautela.
Indicazioni
Da scheda tecnica, le indicazioni dell'ivabradina sono:
Le interazioni sono principalmente con i potenti inibitori del CYP3A4. È controindicata l’associazione con antimicotici azolici, macrolidi e inibitori della proteasi dell’HIV (nelfinavir, ritonavir).
È controindicata anche l’associazione con terfenadina e dronedarone per il rischio di aumento dell’intervallo QT, e anche con diltiazem e verapamil che sono inibitori moderati del CYP3A4 ma hanno effetti sinergici sulla frequenza cardiaca.
Interazioni maggiori, con rischio di aumento dell’intervallo QT, sono segnalate, tra gli altri, anche con:
Effetti cardiaci - Negli studi di confronto diretto, l’incidenza di eventi coronarici gravi è stata maggiore con ivabradina rispetto ad atenololo (3,8% vs 1,5%).
Ivabradine in stable coronary artery disease without clinical heart failure.
N Engl J Med. 2014 Sep 18;371(12):1091-9
Heart failure: ivabradine is no better than optimised beta-blocker therapy.
Prescrire Int. 2011 Jul-Aug;20(118):189-90
Ivabradine and outcomes in chronic heart failure (SHIFT): a randomised placebo-controlled study.
Lancet. 2010 Sep 11;376(9744):875-85
Ivabradine for patients with stable coronary artery disease and left-ventricular systolic dysfunction (BEAUTIFUL): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial.
Lancet. 2008 Sep 6;372(9641):807-16.
Ivabradina
Informazioni sui farmaci - 2008
Ivabradine: new drug. Best avoided in stable angina.
Prescrire Int. 2007 Apr;16(88):53-6
Gilberto Lacchia - Pubblicato 16/01/2023 - Aggiornato 16/01/2023
L'ivabradina, chimicamente derivata dal verapamil, è un inibitore selettivo del pacemaker del nodo del seno che blocca un canale ionico regolato da nucleotidi ciclici (HCN) attivato dall'iperpolarizzazione e inibisce selettivamente la corrente I(f), riducendo così la frequenza cardiaca, senza influenzare la pressione arteriosa o la funzione sistolica del ventricolo sinistro.
La frequenza sinusale viene ridotta prolungando la fase di depolarizzazione lenta. Gli effetti cardiaci sono specifici per il nodo del seno senza effetti sui tempi di conduzione intraatriale, atrioventricolare o intraventricolare, né sulla contrattilità miocardica o sulla ripolarizzazione ventricolare.
Farmacocinetica
La biodisponibilità assoluta delle compresse rivestite con film è di circa il 40%. Il cibo ritarda l’assorbimento di circa un’ora e ne aumenta la presenza nel plasma dal 20 al 30%. In scheda tecnica si raccomanda l'assunzione durante i pasti per diminuire la variabilità di concentrazione intraindividuale.
Il farmaco è ampiamente metabolizzato da fegato e intestino con reazioni di ossidazioni catalizzate solo dal citocromo CYP3A4. L’ivabradina ha una bassa affinità per il CYP3A4 ed è improbabile che modifichi il metabolismo o le concentrazioni plasmatiche di substrati del CYP3A4. Al contrario, inibitori e induttori di questo isoenzima possono modificare sostanzialmente le concentrazioni plasmatiche dell’ivabradina.
L’emivita è di circa 11 ore.
La clearance renale dell'ivabradina non supera il 20% e non è necessario un aggiustamento posologico nei pazienti con insufficienza renale e clearance della creatinina superiore a 15 ml/min. Al di sotto di questo valore di clearance non esistono dati ed è consigliata cautela.
Indicazioni
Da scheda tecnica, le indicazioni dell'ivabradina sono:
- Trattamento sintomatico dell’angina pectoris stabile in adulti con normale ritmo sinusale e frequenza cardiaca ≥70 bpm:
- negli adulti che non tollerano o che hanno una controindicazione all’uso dei betabloccanti;
- in associazione ai beta-bloccanti nei pazienti non adeguatamente controllati con una dose ottimale di beta-bloccante.
- Trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica in classe NYHA da II a IV con disfunzione sistolica, in pazienti in ritmo sinusale e frequenza cardiaca ≥75 bpm, in associazione alla terapia con un beta-bloccante o quando i beta-bloccanti siano controindicati o non tollerati.
- frequenza cardiaca a riposo <70 bpm, prima del trattamento
- shock cardiogeno
- infarto miocardico acuto
- ipotensione grave (<90/50 mmHg)
- insufficienza epatica grave
- sindrome del nodo del seno
- blocco seno-atriale
- BAV di terzo grado
- insufficienza cardiaca acuta o instabile
- presenza di pacemaker (frequenza cardiaca imposta esclusivamente dal pacemaker)
- angina instabile
- associazione con potenti inibitori del CYP3A4
- associazione con verapamil o diltiazem
- gravidanza, allattamento e donne in età fertile che non utilizzano appropriate misure contraccettive
Le interazioni sono principalmente con i potenti inibitori del CYP3A4. È controindicata l’associazione con antimicotici azolici, macrolidi e inibitori della proteasi dell’HIV (nelfinavir, ritonavir).
È controindicata anche l’associazione con terfenadina e dronedarone per il rischio di aumento dell’intervallo QT, e anche con diltiazem e verapamil che sono inibitori moderati del CYP3A4 ma hanno effetti sinergici sulla frequenza cardiaca.
Interazioni maggiori, con rischio di aumento dell’intervallo QT, sono segnalate, tra gli altri, anche con:
- idrossiclorochina
- sotalolo
- ranolazina
- donepezil
- metronidazolo
- farmaci psichiatrici (sertralina, clozapina, quetiapina, amisulpiride, aripiprazolo, mirtazapina, citalopram, escitalopram)
Effetti cardiaci - Negli studi di confronto diretto, l’incidenza di eventi coronarici gravi è stata maggiore con ivabradina rispetto ad atenololo (3,8% vs 1,5%).
Le aritmie gravi sono state più frequenti con ivabradina che con atenololo (1,3% vs 0,7%).
Disturbi visivi - Sono comuni i fenomeni luminosi (fosfeni) che si manifestano generalmente entro i primi 2 mesi di terapia e nella maggioranza dei casi (76%) si risolvono durante il trattamento.
Disturbi visivi - Sono comuni i fenomeni luminosi (fosfeni) che si manifestano generalmente entro i primi 2 mesi di terapia e nella maggioranza dei casi (76%) si risolvono durante il trattamento.
I consulenti di UpToDate, dopo la pubblicazione dello studio SIGNIFY (Study Assessing the Morbidity–Mortality Benef its of the If Inhibitor Ivabradine in Patients with Coronary Artery Disease), non raccomandano l'uso di ivabradina in pazienti con angina stabile senza segni clinici di insufficienza cardiaca.
Nello studio SIGNIFY condotto su pazienti con angina cronica e funzione ventricolare sinistra normale, l'aggiunta di ivabradina ai betabloccanti non ha conferito alcun beneficio, ma è stata associata a una tendenza a un maggior numero di endpoint cardiovascolari e a un aumento di bradicardia sintomatica, fibrillazione atriale e allungamento del QT.
Questi dati sollevano dubbi sull'ipotesi che la riduzione della frequenza cardiaca di per sé sia associata a un miglior esito cardiovascolare.
Lo studio SIGNIFY ha randomizzato a ivabradina o placebo oltre 19.000 pazienti (età media 65 anni, 72,4% uomini) con malattia coronarica stabile, senza segni clinici di insufficienza cardiaca e con una frequenza cardiaca ≥70/min.
Tutti i pazienti sono stati trattati con una terapia medica ottimale con aspirina, statina, ACE-inibitore e beta-bloccante. La maggior parte dei pazienti (63%) presentava angina di classe II o superiore della Canadian Cardiovascular Society (CCS).
Nel sottogruppo di pazienti con angina di classe CCS II o superiore, i pazienti del gruppo ivabradina hanno migliorato la loro classe CCS (24,0% vs 18,8%).
A 28 mesi di follow-up non sono state osservate differenze nell'endpoint composito di morte cardiovascolare o infarto miocardico non fatale (6,8 vs 6,4%).
Tra i pazienti con angina CCS II o superiore, si è tuttavia registrato un aumento dell'incidenza dell'endpoint primario (7,6 vs 6,5%).
Benché l'ivabradina sembri migliorare il sintomo nei pazienti con angina di classe CCS II o superiore in terapia medica ottimale, è preoccupante l'aumento del rischio di morte cardiovascolare e di infarto miocardico non fatale.
Nello studio randomizzato, in doppio cieco, SHIFT, su pazienti con insufficienza cardiaca (IC), l'ivabradina è stata confrontata con placebo, in aggiunta al trattamento standard per l'IC, in oltre 6500 pazienti.
I pazienti dovevano avere una frazione di eiezione sistolica <35%, almeno un ricovero per peggioramento dell'IC nei 12 mesi precedenti, una frequenza cardiaca a riposo >70/min, nessuna aritmia, nessuna valvulopatia grave, nessun infarto miocardico o rivascolarizzazione coronarica nei due mesi precedenti e nessun ictus nelle 4 settimane precedenti.
In media sono stati seguiti per circa 2 anni.
L'ivabradina non ha avuto effetti sulla mortalità totale o cardiovascolare. L'endpoint primario (mortalità cardiovascolare combinata + ricovero per peggioramento dell'IC) si è ridotto nel gruppo ivabradina principalmente per una riduzione dei ricoveri per IC.
In un sottogruppo di pazienti, che assumevano almeno metà della dose massima raccomandata di beta-bloccante (56% dei pazienti), non è stata riscontrata alcuna differenza statisticamente significativa tra ivabradina e placebo, né in termini di mortalità complessiva, né di endpoint primario.
Lo studio randomizzato BEAUTIFUL ha confrontato in doppio cieco l'ivabradina con placebo, in aggiunta alla terapia standard, in oltre 10.000 pazienti con malattia coronarica e IC con frazione di eiezione sistolica <40%.
I risultati non hanno mostrato benefici clinici tangibili dell'ivabradina, neanche nei 1430 pazienti che non assumevano un beta-bloccante.
I revisori della rivista Prescrire ritengono che il rapporto rischio/beneficio del farmaco sia sfavorevole e lo sostengono fin dall’immissione in commercio dell’ivabradina nel 2006.
In seguito alla loro campagna informativa decennale, dal 2018 non è più rimborsato dal sistema sanitario francese, né è approvato l’utilizzo dell’ivabradina nell’angina dalle autorità regolatorie francesi.
In Francia l’ivabradina rimane rimborsabile solo per i pazienti con insufficienza cardiaca.
Secondo i consulenti di Prescrire il farmaco dovrebbe essere ritirato dal commercio, in quanto sono disponibili farmaci più efficaci, sia per l'angina sia per l'insufficienza cardiaca, mentre l'ivabradina esporrebbe i pazienti a effetti avversi cardiaci ingiustificati, come torsades de pointes e infarto miocardico.
New therapies for angina pectoris
UpToDate - Topic last updated: Oct 11, 2022
Nello studio SIGNIFY condotto su pazienti con angina cronica e funzione ventricolare sinistra normale, l'aggiunta di ivabradina ai betabloccanti non ha conferito alcun beneficio, ma è stata associata a una tendenza a un maggior numero di endpoint cardiovascolari e a un aumento di bradicardia sintomatica, fibrillazione atriale e allungamento del QT.
Questi dati sollevano dubbi sull'ipotesi che la riduzione della frequenza cardiaca di per sé sia associata a un miglior esito cardiovascolare.
Lo studio SIGNIFY ha randomizzato a ivabradina o placebo oltre 19.000 pazienti (età media 65 anni, 72,4% uomini) con malattia coronarica stabile, senza segni clinici di insufficienza cardiaca e con una frequenza cardiaca ≥70/min.
Tutti i pazienti sono stati trattati con una terapia medica ottimale con aspirina, statina, ACE-inibitore e beta-bloccante. La maggior parte dei pazienti (63%) presentava angina di classe II o superiore della Canadian Cardiovascular Society (CCS).
Nel sottogruppo di pazienti con angina di classe CCS II o superiore, i pazienti del gruppo ivabradina hanno migliorato la loro classe CCS (24,0% vs 18,8%).
A 28 mesi di follow-up non sono state osservate differenze nell'endpoint composito di morte cardiovascolare o infarto miocardico non fatale (6,8 vs 6,4%).
Tra i pazienti con angina CCS II o superiore, si è tuttavia registrato un aumento dell'incidenza dell'endpoint primario (7,6 vs 6,5%).
Benché l'ivabradina sembri migliorare il sintomo nei pazienti con angina di classe CCS II o superiore in terapia medica ottimale, è preoccupante l'aumento del rischio di morte cardiovascolare e di infarto miocardico non fatale.
Nello studio randomizzato, in doppio cieco, SHIFT, su pazienti con insufficienza cardiaca (IC), l'ivabradina è stata confrontata con placebo, in aggiunta al trattamento standard per l'IC, in oltre 6500 pazienti.
I pazienti dovevano avere una frazione di eiezione sistolica <35%, almeno un ricovero per peggioramento dell'IC nei 12 mesi precedenti, una frequenza cardiaca a riposo >70/min, nessuna aritmia, nessuna valvulopatia grave, nessun infarto miocardico o rivascolarizzazione coronarica nei due mesi precedenti e nessun ictus nelle 4 settimane precedenti.
In media sono stati seguiti per circa 2 anni.
L'ivabradina non ha avuto effetti sulla mortalità totale o cardiovascolare. L'endpoint primario (mortalità cardiovascolare combinata + ricovero per peggioramento dell'IC) si è ridotto nel gruppo ivabradina principalmente per una riduzione dei ricoveri per IC.
In un sottogruppo di pazienti, che assumevano almeno metà della dose massima raccomandata di beta-bloccante (56% dei pazienti), non è stata riscontrata alcuna differenza statisticamente significativa tra ivabradina e placebo, né in termini di mortalità complessiva, né di endpoint primario.
Lo studio randomizzato BEAUTIFUL ha confrontato in doppio cieco l'ivabradina con placebo, in aggiunta alla terapia standard, in oltre 10.000 pazienti con malattia coronarica e IC con frazione di eiezione sistolica <40%.
I risultati non hanno mostrato benefici clinici tangibili dell'ivabradina, neanche nei 1430 pazienti che non assumevano un beta-bloccante.
I revisori della rivista Prescrire ritengono che il rapporto rischio/beneficio del farmaco sia sfavorevole e lo sostengono fin dall’immissione in commercio dell’ivabradina nel 2006.
In seguito alla loro campagna informativa decennale, dal 2018 non è più rimborsato dal sistema sanitario francese, né è approvato l’utilizzo dell’ivabradina nell’angina dalle autorità regolatorie francesi.
In Francia l’ivabradina rimane rimborsabile solo per i pazienti con insufficienza cardiaca.
Secondo i consulenti di Prescrire il farmaco dovrebbe essere ritirato dal commercio, in quanto sono disponibili farmaci più efficaci, sia per l'angina sia per l'insufficienza cardiaca, mentre l'ivabradina esporrebbe i pazienti a effetti avversi cardiaci ingiustificati, come torsades de pointes e infarto miocardico.
New therapies for angina pectoris
UpToDate - Topic last updated: Oct 11, 2022
The Clinical Use of Ivabradine.
J Am Coll Cardiol. 2017 Oct 3;70(14):1777-1784
Ivabradine in stable coronary artery disease without clinical heart failure.
N Engl J Med. 2014 Sep 18;371(12):1091-9
Heart failure: ivabradine is no better than optimised beta-blocker therapy.
Prescrire Int. 2011 Jul-Aug;20(118):189-90
Ivabradine and outcomes in chronic heart failure (SHIFT): a randomised placebo-controlled study.
Lancet. 2010 Sep 11;376(9744):875-85
Ivabradine for patients with stable coronary artery disease and left-ventricular systolic dysfunction (BEAUTIFUL): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial.
Lancet. 2008 Sep 6;372(9641):807-16.
Ivabradina
Informazioni sui farmaci - 2008
Ivabradine: new drug. Best avoided in stable angina.
Prescrire Int. 2007 Apr;16(88):53-6
Gilberto Lacchia - Pubblicato 16/01/2023 - Aggiornato 16/01/2023
Commenti
Posta un commento