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Secondo l’ente statunitense che coordina i servizi di prevenzione, non ci sarebbero vantaggi nel dosare i livelli di vitamina D in persone che non hanno segni o sintomi di carenza.
Nel 2011, la National Academy of Medicine ha stabilito che un livello di 25-idrossivitamina D <20 ng/ml definisce una condizione di carenza e che non ci sono evidenze per definire diverse soglie di vitamina D per diverse condizioni di salute.
Nelle persone di età ≥70 anni, istituzionalizzate o che non escono di casa, l'integrazione di vitamina D probabilmente riduce il rischio di frattura del collo del femore.
A parte queste situazioni, negli adulti senza sintomi di carenza di vitamina D, non è chiaro quanto sia utile dosare la vitamina D per decidere se iniziare l’integrazione.
Diversi studi epidemiologici hanno suggerito un legame tra bassi livelli di vitamina D e alcuni problemi di salute come fratture, diabete, malattie cardiovascolari e cancro.
Una revisione sistematica con meta-analisi della US Preventive Services Task Force (USPSTF), un'agenzia governativa statunitense, ha identificato 26 studi randomizzati che hanno valutato l'effetto del dosaggio della vitamina D seguito dall'integrazione di vitamina D con o senza calcio quando venivano rilevati bassi livelli.
Il confronto era con il placebo o nessun trattamento. L'età media dei pazienti era di 60 anni o più in circa la metà degli studi inclusi. Nei diversi studi, la durata del trattamento variava tra 8 settimane e 7 anni.
Gli autori hanno cercato di stabilire anche se l'efficacia del trattamento variava tra gruppi a più alto rischio di carenza di vitamina D (p.es. soggetti residenti in istituzioni, obesi, persone con bassi livelli di esposizione al sole o anziani) o variava tra i gruppi etnici.
La meta-analisi non ha mostrato alcun beneficio clinico per quanto riguardava prevenzione delle fratture, diabete, malattie cardiovascolari, cancro o effetti sulla mortalità totale.
I dati disponibili sono stati considerati dai ricercatori troppo deboli per determinare se l'assunzione di vitamina D in assenza di segni di carenza avesse un effetto sul rischio di frattura del femore, depressione, infezioni o cadute.
La maggior parte degli studi inclusi non ha identificato in modo sistematico e affidabile gli effetti avversi dell’integrazione di routine di vitamina D.
Il sovradosaggio di vitamina D è associato a ipercalcemia e iperfosfatemia. I segni di sovradosaggio comprendono disturbi digestivi (perdita di appetito, nausea e vomito), poliuria, nicturia, sudorazioni, cefalea, sete. L'ipercalcemia è anche associata a nefrolitiasi, nefrocalcinosi e insufficienza renale.
Secondo l'analisi dei dati dell'USPSTF, negli adulti il bilancio rischio-beneficio di uno screening sistematico per valutare bassi livelli ematici di vitamina D rimane incerto, se non ci sono segni chiari di carenza.
Le manifestazioni cliniche della carenza di vitamina D dipendono dalla gravità e dalla durata della carenza.
La maggior parte dei pazienti con carenza da moderata a lieve (25[OH]D tra 15 e 20 ng/ml) sono asintomatici. Calcio, fosforo e fosfatasi alcalina sono in genere normali. Il paratormone (PTH) aumenta nel 40 e 51% dei pazienti con livelli rispettivamente <20 e <10 ng/ml.
I pazienti con carenza di 25[OH]D e aumenti secondari del PTH sono a maggior rischio di riduzione accelerata della massa ossea e fratture.
Con una carenza grave e prolungata si riduce l'assorbimento intestinale di calcio e fosforo con ipocalcemia, iperparatiroidismo secondario, fosfaturia, demineralizzazione ossea e, se prolungata, osteomalacia negli adulti e rachitismo e osteomalacia nei bambini.
I sintomi associati possono comprendere dolore e dolorabilità delle ossa, debolezza muscolare, fratture e difficoltà nella deambulazione. I pazienti con osteomalacia nutrizionale, da malattia gastrointestinale o alimentazione subottimale e con esposizione solare inadeguata, tendono ad avere livelli di 25(OH)D <10 ng/ml.
Attualmente, si ritiene che la 25-idrossivitamina D (25(OH)D) totale, con emivita di 25 giorni, sia il miglior marcatore biochimico di carenza di vitamina D, anche se la 1,25-diidrossi vitamina D (1,25[OH]2D) è il metabolita attivo.
Mentre l'1,25(OH)2D si lega 100 volte più efficacemente al recettore della vitamina D rispetto alla 25(OH)D, l'emivita più breve dell'1,25(OH)2D di 7 ore la rende un parametro inadeguato per lo screening. Si sta discutendo se la 25(OH)D biodisponibile e la 25(OH)D libera siano indicatori migliori dello stato della vitamina D rispetto alla 25(OH)D totale.
La 25(OH)D totale è la somma di circa l'85-90% della 25(OH)D circolante strettamente legata alla proteina legante la vitamina D, 10%-15% legato all'albumina e 0,03% 25(OH)D libera. La 25(OH)D libera può essere misurata o calcolata.
La 25(OH)D biodisponibile è la somma della 25(OH)D legata debolmente all'albumina e della 25(OH)D libera. In alcuni studi precedenti, ma non in tutti, la 25(OH)D libera era associata più fortemente a esiti muscolo-scheletrici e non muscolo-scheletrici rispetto alla 25(OH)D totale.
Gli studi su popolazioni di etnie diverse, inoltre, hanno fatto sorgere il dubbio che il deficit di vitamina D possa essere definito da soglie diverse in popolazioni diverse.
In pratica - Secondo l’USPSTF statunitense, negli adulti che vivono in comunità, non in gravidanza e in assenza di segni suggestivi di carenza di vitamina D, lo screening sistematico per la vitamina D seguito da un'eventuale integrazione, con o senza calcio, non ha un valore clinico dimostrato.
Con quali criteri, quindi, si può decidere a chi richiedere un dosaggio della vitamina D?
Secondo un editorialista che ha commentato lo studio dell’USPSTF, l’approccio potrebbe essere quello di non misurare i livelli di vitamina D e di assicurarsi che tutti gli individui assumano la dose giornaliera di vitamina D raccomandata in base all'età.
Alle persone a maggior rischio di carenza di vitamina D potrebbe essere prescritta empiricamente una dose maggiore di vitamina D (p.es. 2000 UI/d).
Nel 2011, la National Academy of Medicine ha stabilito che un livello di 25-idrossivitamina D <20 ng/ml definisce una condizione di carenza e che non ci sono evidenze per definire diverse soglie di vitamina D per diverse condizioni di salute.
Nelle persone di età ≥70 anni, istituzionalizzate o che non escono di casa, l'integrazione di vitamina D probabilmente riduce il rischio di frattura del collo del femore.
A parte queste situazioni, negli adulti senza sintomi di carenza di vitamina D, non è chiaro quanto sia utile dosare la vitamina D per decidere se iniziare l’integrazione.
Diversi studi epidemiologici hanno suggerito un legame tra bassi livelli di vitamina D e alcuni problemi di salute come fratture, diabete, malattie cardiovascolari e cancro.
Una revisione sistematica con meta-analisi della US Preventive Services Task Force (USPSTF), un'agenzia governativa statunitense, ha identificato 26 studi randomizzati che hanno valutato l'effetto del dosaggio della vitamina D seguito dall'integrazione di vitamina D con o senza calcio quando venivano rilevati bassi livelli.
Il confronto era con il placebo o nessun trattamento. L'età media dei pazienti era di 60 anni o più in circa la metà degli studi inclusi. Nei diversi studi, la durata del trattamento variava tra 8 settimane e 7 anni.
Gli autori hanno cercato di stabilire anche se l'efficacia del trattamento variava tra gruppi a più alto rischio di carenza di vitamina D (p.es. soggetti residenti in istituzioni, obesi, persone con bassi livelli di esposizione al sole o anziani) o variava tra i gruppi etnici.
La meta-analisi non ha mostrato alcun beneficio clinico per quanto riguardava prevenzione delle fratture, diabete, malattie cardiovascolari, cancro o effetti sulla mortalità totale.
I dati disponibili sono stati considerati dai ricercatori troppo deboli per determinare se l'assunzione di vitamina D in assenza di segni di carenza avesse un effetto sul rischio di frattura del femore, depressione, infezioni o cadute.
La maggior parte degli studi inclusi non ha identificato in modo sistematico e affidabile gli effetti avversi dell’integrazione di routine di vitamina D.
Il sovradosaggio di vitamina D è associato a ipercalcemia e iperfosfatemia. I segni di sovradosaggio comprendono disturbi digestivi (perdita di appetito, nausea e vomito), poliuria, nicturia, sudorazioni, cefalea, sete. L'ipercalcemia è anche associata a nefrolitiasi, nefrocalcinosi e insufficienza renale.
Secondo l'analisi dei dati dell'USPSTF, negli adulti il bilancio rischio-beneficio di uno screening sistematico per valutare bassi livelli ematici di vitamina D rimane incerto, se non ci sono segni chiari di carenza.
Le manifestazioni cliniche della carenza di vitamina D dipendono dalla gravità e dalla durata della carenza.
La maggior parte dei pazienti con carenza da moderata a lieve (25[OH]D tra 15 e 20 ng/ml) sono asintomatici. Calcio, fosforo e fosfatasi alcalina sono in genere normali. Il paratormone (PTH) aumenta nel 40 e 51% dei pazienti con livelli rispettivamente <20 e <10 ng/ml.
I pazienti con carenza di 25[OH]D e aumenti secondari del PTH sono a maggior rischio di riduzione accelerata della massa ossea e fratture.
Con una carenza grave e prolungata si riduce l'assorbimento intestinale di calcio e fosforo con ipocalcemia, iperparatiroidismo secondario, fosfaturia, demineralizzazione ossea e, se prolungata, osteomalacia negli adulti e rachitismo e osteomalacia nei bambini.
I sintomi associati possono comprendere dolore e dolorabilità delle ossa, debolezza muscolare, fratture e difficoltà nella deambulazione. I pazienti con osteomalacia nutrizionale, da malattia gastrointestinale o alimentazione subottimale e con esposizione solare inadeguata, tendono ad avere livelli di 25(OH)D <10 ng/ml.
Attualmente, si ritiene che la 25-idrossivitamina D (25(OH)D) totale, con emivita di 25 giorni, sia il miglior marcatore biochimico di carenza di vitamina D, anche se la 1,25-diidrossi vitamina D (1,25[OH]2D) è il metabolita attivo.
Mentre l'1,25(OH)2D si lega 100 volte più efficacemente al recettore della vitamina D rispetto alla 25(OH)D, l'emivita più breve dell'1,25(OH)2D di 7 ore la rende un parametro inadeguato per lo screening. Si sta discutendo se la 25(OH)D biodisponibile e la 25(OH)D libera siano indicatori migliori dello stato della vitamina D rispetto alla 25(OH)D totale.
La 25(OH)D totale è la somma di circa l'85-90% della 25(OH)D circolante strettamente legata alla proteina legante la vitamina D, 10%-15% legato all'albumina e 0,03% 25(OH)D libera. La 25(OH)D libera può essere misurata o calcolata.
La 25(OH)D biodisponibile è la somma della 25(OH)D legata debolmente all'albumina e della 25(OH)D libera. In alcuni studi precedenti, ma non in tutti, la 25(OH)D libera era associata più fortemente a esiti muscolo-scheletrici e non muscolo-scheletrici rispetto alla 25(OH)D totale.
Gli studi su popolazioni di etnie diverse, inoltre, hanno fatto sorgere il dubbio che il deficit di vitamina D possa essere definito da soglie diverse in popolazioni diverse.
In pratica - Secondo l’USPSTF statunitense, negli adulti che vivono in comunità, non in gravidanza e in assenza di segni suggestivi di carenza di vitamina D, lo screening sistematico per la vitamina D seguito da un'eventuale integrazione, con o senza calcio, non ha un valore clinico dimostrato.
Con quali criteri, quindi, si può decidere a chi richiedere un dosaggio della vitamina D?
Secondo un editorialista che ha commentato lo studio dell’USPSTF, l’approccio potrebbe essere quello di non misurare i livelli di vitamina D e di assicurarsi che tutti gli individui assumano la dose giornaliera di vitamina D raccomandata in base all'età.
Alle persone a maggior rischio di carenza di vitamina D potrebbe essere prescritta empiricamente una dose maggiore di vitamina D (p.es. 2000 UI/d).
Questo gruppo comprenderebbe coloro con una limitata esposizione al sole, una cute con maggiore pigmentazione, un indice di massa corporea >30, malassorbimento o un'anatomia gastrointestinale alterata, nefropatie croniche, epatopatie croniche, rachitismo, osteomalacia o osteoporosi.
Screening for Vitamin D Deficiency in Adults: US Preventive Services Task Force Recommendation Statement
JAMA. 2021 Apr 13;325(14):1436-1442
Vitamin D Deficiency in Adults: The Challenge for Clinicians Continues
JAMA. 2021 Apr 13;325(14):1401-1402
Vitamin D deficiency in adults: Definition, clinical manifestations, and treatment
UpToDate - Topic last updated: Sep 20, 2021
Gilberto Lacchia - Pubblicato 29/12/2021 - Aggiornato 29/12/2021
Screening for Vitamin D Deficiency in Adults: US Preventive Services Task Force Recommendation Statement
JAMA. 2021 Apr 13;325(14):1436-1442
Vitamin D Deficiency in Adults: The Challenge for Clinicians Continues
JAMA. 2021 Apr 13;325(14):1401-1402
Vitamin D deficiency in adults: Definition, clinical manifestations, and treatment
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Gilberto Lacchia - Pubblicato 29/12/2021 - Aggiornato 29/12/2021
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