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337 - Effetto placebo

[Tempo di lettura: 10 min]  📚 RECENSIONE 📚

Il placebo è spesso considerato solo come una sostanza inerte, quando non associato all’inganno dei pazienti. Un libro di una autorità mondiale nel campo dello studio dell’effetto placebo fornisce informazioni e concetti che potrebbero migliorare i risultati delle terapie prescritte e dell’incontro con il paziente.

Il placebo è tradizionalmente considerato in modo negativo (“È solo un placebo!”) o utilizzato negli studi scientifici solo per valutare l’efficacia di interventi o principi farmacologicamente attivi.

Negli ultimi decenni, tuttavia, i ricercatori si sono chiesti seriamente perché somministrando un placebo (una terapia finta) si ottenessero dei miglioramenti clinici. Ci si è anche resi conto che la variabilità con cui i pazienti rispondono ai trattamenti e percepiscono i sintomi sono in parte attribuibili agli effetti placebo e nocebo.

Oggi parlando di effetto placebo si intende un fenomeno biologico che avviene nel cervello del paziente e che ci sta facendo comprendere come eventi mentali complessi possano influenzare tutto l’organismo.

Il professor Fabrizio Benedetti, ordinario di neurofisiologia all’università di Torino, è un’autorità internazionale nel campo dello studio dell’effetto placebo.

"L'effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo." è un libro snello e di piacevolissima lettura in cui sono riassunti i risultati di decenni di ricerca.

È un libro per il non specialista, una sintesi dello stato dell’arte descritto nei dettagli nell’opera più famosa del professor Benedetti, “Placebo Effects: Understanding the mechanisms in health and disease”, pubblicato dalla Oxford University Press, premiato nel 2008 dalla British Medical Association e adottato recentemente da alcune università come libro di testo.

La classica definizione dell’effetto placebo come il risultato della somministrazione di una sostanza inerte (l’effetto di una sostanza senza effetto!) non è più accettabile, poiché a livello organico l’effetto c’è, eccome.

Oggi si tende a parlare di effetti placebo, dato che i meccanismi neurobiologici sono molteplici. È stato dimostrato che gli effetti placebo sono associati al rilascio di sostanze come oppioidi endogeni, endocannabinoidi, dopamina, ossitocina e vasopressina.

Questi effetti vengono definititi come “miglioramenti dei sintomi che sono attribuibili alla partecipazione dei pazienti all'incontro terapeutico, con i suoi rituali, simboli e interazioni. Questi effetti sono diversi da quelli di terapie specifiche e sono prodotti dagli stimoli contestuali o ambientali che circondano gli interventi medici, sia quelli falsi e privi di efficacia terapeutica intrinseca, sia quelli di dimostrata efficacia” (Kaptchuk, 2015).

Come spiega il professor Benedetti, la maggior parte dei medici considera effetto placebo qualsiasi miglioramento successivo alla sommistrazione di un placebo, senza distinguere tra l’effetto vero e proprio e la remissione spontanea di molti sintomi o la regressione verso la media.

Per i neuroscienziati, invece, l'effetto placebo riguarda solo i fenomeni prodotti dalle aspettative del paziente, cioè quello che avviene nel cervello dopo la somministrazione del placebo.

Da questi studi è emerso un aspetto fondamentale per chi viene a contatto con i pazienti: gli operatori sanitari rappresentano il punto cruciale del contesto psicosociale del paziente.

Come spiega il professor Benedetti “le terapie somministrate da medici che usano parole rassicuranti e adottano un comportamento amichevole sono più efficaci rispetto a quelle somministrate da medici distaccati e poco propensi al contatto umano. È naturale quindi che quando si parla di effetto placebo si vada inevitabilmente a parlare della relazione medico-paziente.

Tutto il contesto e i simboli che circondano l’atto terapeutico, inoltre, assumono importanza nell’effetto placebo: il placebo somministrato con il nome di un farmaco conosciuto è più efficace di quello con un nome sconosciuto, il placebo costoso più efficace di quello gratuito, le compresse colorate più efficaci di quelle bianche, le capsule più efficaci delle compresse e le iniezioni più efficaci delle somministrazioni per bocca.

Una delle componenti fondamentali che condizionano il risultato di una terapia è l’aspettativa di miglioramento e guarigione. Ma come può questa aspettativa produrre un reale cambiamento del sintomo?

I meccanismi sono diversi: 

  • Effetto sull’ansia. L’aspettativa di un evento futuro è un potente modulatore dell’ansia.
  • Meccanismi di ricompensa. L’aspettativa di beneficio terapeutico attiva il nucleo accumbens che rilascia dopamina. Questo neurotrasmettitore attiva vie di inibizione del dolore producendo un beneficio e quindi la ricompensa.
  • Condizionamento. Somministrare ripetutamente un farmaco attivo (p.es. morfina) induce meccanismi di apprendimento; se dopo alcuni giorni si somministra un placebo questo avrà un effetto simile al farmaco attivo (con implicazioni notevoli sulla possibilità di ridurre l’esposizione a certi farmaci, ottenendo lo stesso effetto terapeutico).
  • Apprendimento sociale. L’osservazione del beneficio di una terapia su altre persone ha un effetto sul paziente a cui viene somministrato un placebo.

Non tutti rispondono al placebo nello stesso modo: attualmente non è facile prevedere chi avrà una buona risposta e chi una risposta quasi nulla. Sono probabilmente implicati fattori psicologici ma anche genetici (polimorfismi nei geni della dopamina, endorfine ed endocannabinoidi).

L’effetto dell’aspettativa è sempre presente nella routine medica, anche se non si somministra nessun placebo. Se il farmaco viene somministrato all’interno di un contesto di cura, da medici e infermieri attenti, empatici, che attuano comportamenti altamente simbolici (visita, accertamenti, ma anche spiegazioni su ciò che si sta facendo) l’effetto può essere enorme rispetto alla somministrazione senza questo contesto.

Per esempio, il metamizolo (Novalgina°) somministrato di nascosto da un computer collegato a una flebo non ha quasi effetto analgesico rispetto alla somministrazione in un contesto medico.

Il dolore è la condizione in cui i placebo sono stati più studiati. Questo modello ha fatto capire come l’effetto placebo possa attivare meccanismi endogeni e ottenere una risposta terapeutica.

Esistono molti studi che dimostrano che i placebo possono attivare il sistema delle endorfine che agiscono sui recettori per gli oppiacei. In un contesto sperimentale la somministrazione di naloxone blocca l’effetto placebo.

Il coinvolgimento delle endorfine nell'analgesia da placebo è anche dimostrato dall'esistenza di una depressione respiratoria causata dal placebo e bloccata dal naloxone.

Questo punto è particolarmente interessante poiché dimostra che un placebo può produrre anche gli effetti collaterali della morfina come depressione respiratoria.

Un altro meccanismo è l’attivazione del sistema degli endocannabinoidi. Pretrattando un soggetto con ketorolac (che agisce sui recettori per gli endocannabinoidi) la successiva somministrazione di un placebo ha un effetto analgesico (condizionamento) attivando lo stesso sistema degli endocannabinoidi. Questo effetto non è annullato dal naloxone ma dal rimonabant che blocca i recettori CB1.

Conferme neurofisiologiche si sono ottenute anche studiando il contrario dell’effetto placebo: il nocebo. Per esempio, l’ansia anticipatoria (sentire il rumore del trapano del dentista) aumenta la percezione del dolore anche per stimoli non dolorifici.

A livello sperimentale si è dimostrato che le aspettative negative, come per esempio leggere gli effetti collaterali elencati sul foglietto illustrativo, aumentano la produzione di colecistochinina (CCK), un peptide che intensifica la percezione del dolore. Somministrando proglumide, un antagonista della CCK, questo effetto scompare.

Benedetti esamina l’effetto placebo in diversi ambiti: contesti non medici come lo sport e il doping, diverse patologie come depressione, morbo di Parkinson, le problematiche sessuali fino alle demenze.

Nei pazienti con demenza si è osservato che l’effetto placebo è assente o quasi se la causa della demenza provoca alterazioni organiche ai lobi prefrontali, fondamentali per il ragionamento astratto e la componente psicologica dell’aspettativa.

Le ricerche hanno permesso di definire tre concetti importanti:

  1. I placebo possono alleviare dei sintomi, ma raramente curare una malattia organica modificando la sua fisiopatologia oltre le manifestazioni sintomatiche.
  2. I contenuti simbolici e l’interazione con gli operatori sanitari nel contesto della relazione di cura possono aumentare non poco l’efficacia dei farmaci.
  3. I fattori psicosociali che promuovono gli aspetti terapeutici possono causare anche effetti avversi (nocebo).

Noi medici di famiglia conosciamo bene, anche solo a livello intuitivo, l’importanza degli effetti placebo e nocebo. Tuttavia, una migliore conoscenza di questi effetti e delle loro implicazioni può migliorare significativamente l’efficacia dell’incontro con i pazienti e delle terapie che vengono loro prescritte, minimizzando anche i possibili effetti nocebo.

Gli effetti placebo sono tutto sommato modesti rispetto all’impatto dei progressi della medicina sulla terapia farmacologica mirata e sulla chirurgia. Lo studio di questi effetti, tuttavia, ci porta a riflettere sull’essenza di ciò che rende la medicina una professione di cura.



Fabrizio Benedetti
L'effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo
Carocci Editore - Seconda edizione, 2018

Fabrizio Benedetti
Placebo Effects: Understanding the mechanisms in health and disease
Oxford University Press - Third Edition, 2021

Placebo and Nocebo Effects
N Engl J Med. 2020 Feb 6;382(6):554-561 

Placebo Effects in Medicine.
N Engl J Med. 2015 Jul 2;373(1):8-9
 

Gilberto Lacchia - Pubblicato 08/11/2021 - Aggiornato 08/11/2021

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