Il consumo di caffè ha effetti cardiovascolari significativi? Può aumentare le aritmie? Aumenta nel tempo la pressione arteriosa? [Lettura 6 min]
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L'idea che la caffeina conferisca un rischio di aritmie cardiache è comune ed è presente in diverse linee guida. Tuttavia, questa ipotesi si basa su un meccanismo biologico presunto e su evidenze inadeguate.
In uno studio pubblicato nel 2021, i ricercatori hanno seguito quasi 400.000 soggetti di mezza età (da 40 a 69 anni al basale) per 12 anni.
L'uso di caffè è stato monitorato tramite questionari; con la revisione della documentazione clinica sono state documentate una serie di aritmie: fibrillazione atriale, flutter atriale, tachicardia sopraventricolare, tachicardia ventricolare, complessi atriali e ventricolari prematuri.
Dopo l'aggiustamento per i dati demografici, problematiche mediche, livello di istruzione, stato di fumatore, consumo di alcol e tè e pratica di attività fisica, ogni tazza di caffè in più consumata quotidianamente è stata associata a una riduzione del 3% del rischio di aritmie, senza alcuna evidenza che il metabolismo della caffeina, mediato geneticamente, abbia influenzato questa associazione.
Questi dati suggeriscono che le comuni proibizioni di assumere caffeina per ridurre il rischio di aritmia siano probabilmente ingiustificate.
Nonostante numerose ricerche, anche il rapporto tra il consumo abituale di caffè e pressione arteriosa (PA) rimane un argomento controverso.
Gli studi pubblicati negli ultimi vent’anni hanno diversi limiti, come il disegno trasversale che preclude la raccolta di dati prospettici e la valutazione dei soli valori di PA in ambito clinico, senza considerare le misurazioni domiciliari e il monitoraggio delle 24 ore.
Uno studio trasversale italiano ha superato quest'ultima limitazione, utilizzando dati della PA misurata in ambito clinico, a domicilio e le misurazioni ambulatoriali delle 24 ore.
Per ottenere informazioni prospettiche sull'associazione tra consumo di caffè, PA e sviluppo di ipertensione, gli autori hanno progettato uno studio basato sui dati raccolti nel contesto del progetto di ricerca PAMELA (Pressioni Arteriose Monitorate E Loro Associazioni).
È uno studio unico nel suo genere che ha seguito i partecipanti per 10 anni, il periodo più lungo negli studi di popolazione che valutano l'associazione tra consumo di caffè e PA. Oltre ai valori di PA, è stato esaminato l'impatto del consumo di caffè sulla variabilità pressoria nelle 24 ore, un parametro fortemente correlato al danno d'organo subclinico e agli eventi cardiovascolari.
Lo studio PAMELA è stato condotto su un campione di 3200 soggetti, rappresentativi della popolazione di Monza, stratificati per sesso, età (compresa tra 25 e 74 anni) e altre caratteristiche.
Il tasso di partecipazione è stato del 64%: erano disponibili i dati di 2051 soggetti.
I partecipanti venivano invitati presso l'ambulatorio dell'Ospedale S. Gerardo di Monza la mattina di un giorno lavorativo, dopo un digiuno notturno e l'astensione da alcol e fumo dal giorno precedente.
Questi sono stati i principali risultati dello studio:
- 1176 soggetti sono rimasti nella categoria di non consumatori (n=102) o consumatori (n=1074) di caffè nel corso del follow-up.
- I consumatori abituali di ≥3 tazzine di caffè al giorno erano più giovani, con BMI leggermente superiore e più frequentemente fumatori.
- Al basale, la terapia antipertensiva era meno rappresentata nei consumatori di ≥3 tazze al giorno.
- Durante il follow-up di 10 anni, terapia antipertensiva e BMI sono aumentati in tutti i gruppi, mentre la percentuale di fumatori e consumatori di alcol è rimasta invariata.
- La PA sistolica in ambito clinico era inferiore nei consumatori di ≥3 tazze al giorno sia al basale sia al follow-up, mentre la PA domiciliare e il monitoraggio delle 24 ore era simile tra i gruppi.
- L'incidenza e il rischio di nuova ipertensione in ambito clinico, domiciliare e al monitoraggio delle 24 ore erano simili tra non consumatori e consumatori di caffè.
- La variabilità della PA sistolica e diastolica al monitoraggio delle 24 ore era simile o leggermente inferiore al follow-up rispetto al basale, senza differenze significative tra non consumatori e consumatori di caffè.
Gli autori osservano che lo studio PAMELA ha fornito tre informazioni inedite:
- La PA misurata in ambito clinico, sia al basale che al follow-up di 10 anni, nei consumatori di ≥3 tazze al giorno era leggermente ma significativamente inferiore nella componente sistolica, ma non diastolica, rispetto ai non consumatori o ai consumatori di una o due tazze al giorno. Tuttavia, nei valori domiciliari e quelli del monitoraggio delle 24 ore, non si osservavano differenze di PA tra non consumatori e consumatori, sia al basale che dopo 10 anni di follow-up, anche dopo correzione per diversi fattori confondenti.
- Lo studio mostra che durante il prolungato follow-up anche la comparsa di una nuova ipertensione, era simile nei consumatori e nei non consumatori di caffè.
- L'analisi dei dati sulla variabilità della PA dimostra che le variabilità sistolica e diastolica delle 24 ore erano virtualmente sovrapponibili nei consumatori e nei non consumatori, sia al basale che dopo 10 anni di follow-up.
I risultati di questo studio longitudinale documentano in modo conclusivo che il consumo abituale di caffè ha un effetto neutro sui valori di PA misurata sia in ambito clinico e sia fuori dall'ambulatorio e sulla variabilità pressoria.
Ciò vale anche per la comparsa di una ipertensione di nuova diagnosi.
📚 Bibliografia
- Habitual coffee consumption and office, home, and ambulatory blood pressure: results of a 10-year prospective study.
J Hypertens 2024;42(6):1094–100. - Coffee Consumption and Incident Tachyarrhythmias: Reported Behavior, Mendelian Randomization, and Their Interactions.
JAMA Internal Medicine 2021;181(9):1185–93.
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Gilberto Lacchia - Pubblicato 28/06/2024 - Aggiornato 28/06/2024
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