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568 - Sorveglianza del cancro prostatico

La sorveglianza attiva in pazienti selezionati è un'alternativa sicura che evita trattamenti invasivi immediati, con esiti simili a chirurgia e radioterapia. [Lettura 5 min]

|| Punti Chiave ||

  • La sorveglianza attiva è un'opzione valida per il trattamento del cancro della prostata a basso rischio, con una mortalità simile alla prostatectomia radicale e alla radioterapia.
  • Una percentuale significativa di pazienti in sorveglianza attiva può evitare o ritardare trattamenti invasivi senza compromettere gli esiti a lungo termine.
  • Il medico di medicina generale ha un ruolo importante nel fornire ai pazienti informazioni accurate e aggiornate sulle opzioni di trattamento, per favorire una decisione consapevole e personalizzata.
Lo studio britannico ProtecT ha arruolato pazienti tra il 2001 e il 2009. Nello studio erano stati inseriti più di 1600 uomini tra i 50 e i 69 anni con cancro della prostata localizzato, per lo più a basso rischio (77% con punteggio Gleason di 6), randomizzati in tre gruppi:
  • prostatectomia radicale (n = 553)
  • radioterapia con deprivazione androgenica neoadiuvante (n = 545)
  • sorveglianza attiva che consisteva principalmente in dosaggi seriati dell'antigene prostatico specifico (PSA) (n = 545).
Nei primi risultati pubblicati nel 2016, a 10 anni, la mortalità specifica per cancro della prostata (≈1%) e la mortalità complessiva (≈10%) erano simili nei tre gruppi.

Nel 2023 erano stati pubblicati i risultati del follow-up mediano a 15 anni:
  • la mortalità specifica per cancro della prostata era simile nei tre gruppi (≈3%);
  • la mortalità complessiva era simile in tutti i gruppi (≈22%);
  • le metastasi erano più comuni nel gruppo di sorveglianza attiva (9,4%) rispetto agli altri due gruppi (≈5%);
  • il 61% dei pazienti con sorveglianza attiva è passato alla prostatectomia o alla radioterapia.
Tra il 7° e il 12° anno di follow-up, l’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile erano più comuni del 5-10% nel gruppo della prostatectomia rispetto agli altri gruppi, e l’incontinenza fecale era più comune  del 5% nel gruppo della radioterapia.

Nell’articolo gli autori avevano ribadito che a 15 anni il trattamento radicale aveva comportato un minor rischio di progressione della malattia rispetto al monitoraggio attivo, ma non aveva ridotto la mortalità.

Gli uomini seguiti nello studio ProtecT, tuttavia, fanno parte di un protocollo di studio e si sa che le conclusioni di uno studio clinico non sono necessariamente applicabili tout court nel mondo reale, dove l’aderenza ai protocolli non è sempre ottimale.

A fine maggio 2024 è stato pubblicato su JAMA uno studio prospettico osservazionale sugli esiti a lungo termine in pazienti con cancro della prostata gestiti con una sorveglianza attiva basata su un protocollo.

Circa 2100 uomini (età media 63 anni) sono stati arruolati in 10 centri universitari statunitensi e canadesi e seguiti con sorveglianza attiva.

Circa l'85% dei casi è stato classificato a rischio basso o molto basso; il 15% a rischio intermedio favorevole.

Il follow-up da protocollo prevedeva:
  • dosaggio del PSA ogni 3-6 mesi,
  • biopsia di conferma a 6-12 mesi dalla diagnosi e
  • biopsie successive ogni 2 anni dalla diagnosi.
L'adesione al protocollo è stata di circa il 90%.

Dopo follow-up mediano di 7,2 anni, circa la metà dei pazienti ha mantenuto la classificazione di basso grado senza ricevere alcun trattamento.

Il grading è stato riclassificato nel 43% dei partecipanti e il 49% è stato sottoposto a radioterapia o prostatectomia.

La progressione a malattia metastatica si è verificata in 21 pazienti (1%) e 3 pazienti sono morti per cancro della prostata.

Sebbene in una percentuale piuttosto elevata di questi pazienti la riclassificazione sia passata a un grading superiore, il dato importante è che circa la metà non è stata riclassificata e solo lo 0,1% è morto per malattia metastatica.

Un altro dato importante è l'alto livello di aderenza al protocollo di follow-up con dosaggio del PSA e biopsie, cosa che non accade necessariamente con una sorveglianza attiva meno strutturata.

Lo studio, comunque, dimostra che a 10 anni dalla diagnosi, circa la metà degli uomini a basso rischio in sorveglianza attiva non hanno avuto progressione o trattamento, meno del 2% sviluppa metastasi e meno dell'1% muore per la malattia.

Gli autori sottolineano che la biopsia di conferma ha avuto un ruolo cruciale: il 23% dei pazienti è stato riclassificato e il 62% di quelli che hanno sviluppato metastasi è stato trattato subito dopo questa biopsia.

Lo studio ha alcuni limiti:
  • l'arruolamento è iniziato prima dell'introduzione della risonanza magnetica multiparametrica, che in futuro potrebbe ridurre ulteriormente recidive e metastasi;
  • la coorte era composta principalmente da uomini bianchi con un alto livello di istruzione;
  • il follow-up mediano di 7.2 anni potrebbe non cogliere metastasi e decessi tardivi.
Saranno necessari studi con follow-up ancora più lungo, come per esempio quello dello studio ProtecT, atteso a 20 anni.
Gli autori, tuttavia, concludono che i risultati supportino fortemente la sorveglianza attiva rispetto al trattamento immediato nei tumori a basso rischio.

Ciò potrebbe contribuire a ridurre i timori di sovratrattamento indotto dallo screening del PSA, che rimane il test più utilizzato per la diagnosi precoce nonostante la sua bassa specificità.

Complessivamente si tratta di dati utili al medico di medicina generale che può illustrarli ai pazienti interessati per una scelta più informata e consapevole del trattamento da seguire.


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Gilberto Lacchia - Pubblicato 20/06/2024 - Aggiornato 20/06/2024

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