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390 - Quando è preferibile usare o non usare il warfarin?

[Tempo di lettura: 10 min] 
Da più di 10 anni sono disponibili gli anticoagulanti orali diretti che stanno sostituendo il warfarin per alcune indicazioni nelle quali è stata ampiamente dimostrata l’efficacia e la sicurezza. Il warfarin, tuttavia, non può ancora essere consegnato alla storia della medicina: in alcune situazioni resta superiore e non sostituibile.

Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) sono diventati un'opzione affidabile per fibrillazione atriale (FA) e tromboembolia venosa (TEV). Evidenze di alta qualità dimostrano che sono equivalenti al warfarin in termini di efficacia e possono esserne superiori in termini di sicurezza per queste due indicazioni.

L'equivalenza (o superiorità) dei DOAC rispetto al warfarin non può tuttavia essere assunta in modo generalizzato.

Protesi valvolari cardiache - I pazienti con valvole cardiache meccaniche hanno un maggior rischio a lungo termine di tromboembolia sistemica, in particolare ictus, a causa della formazione di trombi associati alle superfici artificiali della valvola impiantata.

Ci si è chiesti se i DOAC possano fornire una profilassi equivalente in questa popolazione, senza i potenziali aspetti negativi del warfarin.

Lo studio randomizzato RE-ALIGN (Randomized, Phase II Study to Evaluate the Safety and Pharmacokinetics of Oral Dabigatran Etexilate in Patients after Heart Valve Replacement) è uno studio di fase II che ha confrontato dabigatran con warfarin.

Lo studio è stato interrotto precocemente a causa dell'aumento, nel braccio dabigatran, sia delle emorragie (27% con dabigatran vs. 12% con warfarin) sia degli ictus (5% con dabigatran vs. 0% con warfarin). Il warfarin rimane quindi l’anticoagulante standard nei pazienti con valvole cardiache meccaniche.

I risultati dello studio RE-ALIGN non possono essere applicati direttamente ad altri DOAC, ma questo risultato evidenzia i potenziali rischi di estrapolare ad altre indicazioni l'efficacia dei DOAC nella FA e nella TEV non complicata.

Il motivo per cui il dabigatran è risultato inferiore al warfarin in RE-ALIGN non è chiaro. È possibile che dabigatran possa essere meno efficace del warfarin nell'inibire l'attivazione da contatto sulle superfici non endotelizzate.

Inoltre, la trombina è necessaria per attivare la proteina C anticoagulante naturale, un passo chiave nella regolazione negativa della coagulazione (il cosiddetto "thrombin's switch"): inibendo potentemente la trombina, dabigatran non blocca solo l'effetto procoagulante della trombina stessa, ma anche la sua funzione anticoagulante.

Nello studio RIVER (Rivaroxaban for Valvular Heart Disease and Atrial Fibrillation), rivaroxaban a 20 mg/d è stato confrontato con warfarin (INR 2,0-3,0) in uno studio randomizzato su pazienti con valvole mitraliche biologiche e FA.

Gli autori dello studio hanno concluso che rivaroxaban non era inferiore a warfarin adeguando la dose a questa indicazione. Tuttavia, va notato che le valvole cardiache biologiche hanno un rischio tromboembolico molto minore rispetto a quelle meccaniche e le linee guida non raccomandano l'anticoagulazione a lungo termine in pazienti a basso rischio.

È quindi possibile che lo studio RIVER abbia dimostrato semplicemente che rivaroxaban non è inferiore al warfarin in una popolazione dove il principale fattore di rischio è la FA.

Sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) - È una patologia autoimmune acquisita, in cui è presente una maggior predisposizione alla trombosi sia arteriosa che venosa, con un numero di eventi che a volte supera il 10% all'anno in assenza di anticoagulazione.

I pazienti più a rischio sono quelli con positività a tutti e tre i test diagnostici standard per APS (anticoagulante lupico, anticorpi anticardiolipina e anticorpi anti-β2 glicoproteina I), cosiddetta "tripla positività".

Il warfarin è una terapia fondamentale nella gestione dell'APS, ma è associato a un rischio di fallimento dall'1 al 9% all'anno. Circa il 20% dei pazienti con APS che assume warfarin avrà una recidiva di trombosi entro 5 anni. Al contrario, nei pazienti trattati, si verifica un’emorragia maggiore nell'1-7% all’anno.

Date queste difficoltà di gestione, i DOAC sono stati testati come alternativa al warfarin in due studi randomizzati.

Nello studio italiano TRAPS (Trial of Rivaroxaban in Antiphospholipid Antibody Syndrome), 120 pazienti con APS e tripla positività sono stati randomizzati a warfarin o rivaroxaban. L'arruolamento è stato interrotto in anticipo a causa di un eccesso di eventi trombotici nel braccio rivaroxaban (HR = 7,4).

I risultati hanno anche indicato una tendenza statisticamente non significativa verso un aumento delle emorragie maggiori con rivaroxaban.

Un secondo studio randomizzato spagnolo su 190 pazienti, non limitato a quelli con APS con tripla positività, ha confrontato rivaroxaban e warfarin per valutare la non inferiorità del primo.

Lo studio non è stato in grado di dimostrare la non inferiorità di rivaroxaban e ha indicato una tendenza verso un aumento degli eventi trombotici con rivaroxaban (HR = 2.00).

In entrambi gli studi, rivaroxaban era associato a un eccesso di eventi arteriosi, in particolare ictus ischemico acuto.

In entrambi gli studi, i risultati sfavorevoli con rivaroxaban sono stati osservati anche se l'aderenza al trattamento con rivaroxaban era molto alta (>95%), mentre il tempo nel range terapeutico con warfarin era solo circa del 60%.

I risultati sono stati influenzati da un eccesso di eventi arteriosi, i cui effetti tendono ad essere più gravi e meno reversibili di quelli osservati con le trombosi venose.

Il meccanismo biologico alla base dell’effetto inaspettatamente scarso del rivaroxaban nell'APS non è noto. Dato che l'APS è un disturbo fortemente protrombotico, è possibile che un farmaco come il warfarin, che inibisce contemporaneamente quattro fattori della coagulazione, possa essere superiore a farmaci più mirati come i DOAC.

Pazienti con significativa disfunzione renale - I pazienti con insufficienza renale cronica (IRC) e clearance della creatinina inferiore a 25-30 ml/min sono stati esclusi dai principali studi di approvazione dei DOAC, lasciando una sostanziale incertezza sulla loro sicurezza ed efficacia in questa popolazione.

Anche se normalmente in questi pazienti si usa il warfarin, alcuni dati supportano l'uso dei DOAC in pazienti con IRC moderata se vengono eseguiti aggiustamenti posologici appropriati.

L’apixaban è stato approvato dalla FDA per l'uso in pazienti in dialisi senza riduzione della dose sulla base di test farmacocinetici limitati.

La sicurezza di questa indicazione è stata messa in dubbio da studi successivi che dimostrano un accumulo in vivo di apixaban alla dose approvata e una rimozione minima del farmaco con la dialisi.

Attualmente non ci sono prove sufficienti a sostegno dell'uso di routine dei DOAC in pazienti con disfunzione renale significativa e la decisione dovrebbe essere individualizzata. In Italia, comunque, la scheda tecnica controindica chiaramente dabigatran in pazienti con clearance <30 ml/min e apixaban, rivaroxaban ed edoxaban in pazienti con clearance <15 ml/min.

Anticoagulazione in popolazioni speciali - Si tratta di pazienti con trombofilia ereditaria ad alto rischio come la carenza di antitrombina e varianti dei fattori della coagulazione con alta attività protrombotica, disturbi trombotici gravi come la trombocitopenia indotta da eparina, trombosi ricorrente o refrattaria senza una causa identificata e trombosi in sedi insolite (seni venosi cerebrali, vena porta, vene mesenteriche e ventricolo sinistro).

Sono gruppi di pazienti esclusi dai principali studi clinici. Il warfarin continua ad essere consigliabile in popolazioni con trombosi rare e/o non studiate, fino a quando non saranno disponibili ulteriori dati, in particolare nelle sindromi altamente protrombotiche e in pazienti che hanno avuto eventi pericolosi per la vita.

Pazienti oncologici - Una situazione in cui il warfarin non è preferibile, sono i pazienti con neoplasie maligne.

Nel 2003, lo studio CLOT (Randomized Comparison of Low-Molecular-Weight Heparin versus Oral Anticoagulant Therapy for the Prevention of Recurrent Venous Thromboembolism in Patients with Cancer) ha stabilito che l'eparina a basso peso molecolare (EBPM) era preferibile al warfarin nel trattamento della TEV associata al cancro.

Non è chiaro se il warfarin sia intrinsecamente meno efficace per questa popolazione di pazienti o se fattori associati ai pazienti oncologici (p.es. cambiamenti nella dieta, chemioterapia, politerapia) limitino la capacità del warfarin di mantenere stabilmente il range terapeutico ottimale.

Dal 2018, alcuni studi randomizzati e controllati hanno dimostrato che i DOAC non sono inferiori all’EBPM per il trattamento della TEV in oncologia, ed è sempre più comune che vengano utilizzati al posto dell’EBPM.

Un limite di questi studi è l’arruolamento di popolazioni con tumori molto eterogenei. Non è quindi possibile stabilire se i DOAC possano non essere adeguati in alcune tipologie specifiche di tumori maligni, come alcuni tumori altamente trombotici (p.es. cancro gastrico, pancreatico e ovarico).

Ciononostante, i DOAC sono spesso preferiti al warfarin per la gestione ambulatoriale della TEV in oncologia.







Dabigatran versus warfarin in patients with mechanical heart valves.
N Engl J Med. 2013 Sep 26;369(13):1206-14

Rivaroxaban in Patients with Atrial Fibrillation and a Bioprosthetic Mitral Valve.
N Engl J Med. 2020 Nov 26;383(22):2117-2126

Rivaroxaban vs warfarin in high-risk patients with antiphospholipid syndrome.
Blood. 2018 Sep 27;132(13):1365-1371

Low-molecular-weight heparin versus a coumarin for the prevention of recurrent venous thromboembolism in patients with cancer.
N Engl J Med. 2003 Jul 10;349(2):146-53

When Is It Preferable to Use Warfarin?
NEJM Evid 2022; 1 (4)





Gilberto Lacchia - Pubblicato 04/04/2022 - Aggiornato 04/04/2022

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