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Molnupiravir è un analogo nucleosidico, non ancora autorizzato dall’EMA, ma che può essere utilizzato negli Stati membri in modo da permettere un accesso precoce al farmaco. Dati di efficacia non entusiasmanti. Profilo di sicurezza non del tutto tranquillizzante.
Molnupiravir è un analogo della citidina orale. È stato studiato per un trattamento massimo di 5 giorni, in adulti con COVID sintomatico, senza necessità di ossigenoterapia, e con almeno un fattore di rischio per COVID grave.
Molnupiravir viene idrolizzato a N-idrossicitidina (NHC), che ha la struttura di un ribonucleoside. Durante la replicazione virale, quando la RNA polimerasi di SARS-CoV2 incorpora molecole di NHC nell'RNA virale, questo accumula mutazioni multiple oltre una soglia superata la quale il virus non può replicarsi (“mutagenesi letale”).
Il principale studio randomizzato, in doppio cieco, è stato condotto su 1433 adulti non vaccinati contro il COVID e con almeno un fattore di rischio per forme gravi di COVID.
I pazienti avevano un'età compresa tra 18 e 90 anni (3% ≥75 anni). Erano affetti da COVID documentato, sintomatico da meno di 5 giorni, considerato da lieve a moderato, e con poca probabilità di ricovero entro le 48 ore.
La randomizzazione prevedeva placebo o molnupiravir 800 mg mattina e sera per 5 giorni.
Sono stati esclusi i pazienti con insufficienza renale (eGFR <30), infezione da HIV con carica virale >50 copie/ml o conta dei neutrofili <500/ml.
I fattori di rischio per COVID grave erano soprattutto obesità (74%), età >60 anni (17%), diabete (16%), cardiopatie (12%).
Entro un mese dall'inizio del trattamento, è deceduto un paziente nel gruppo molnupiravir (0,1%) rispetto a 9 pazienti nel gruppo placebo (1,3%). È stato ricoverato per almeno 24 ore il 6,8% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto al 9,6% nel gruppo placebo. I risultati sono al limite della significatività statistica.
I risultati dell’analisi statistica su 1433 pazienti erano meno favorevoli al farmaco rispetto a quelli dell'analisi ad interim dei primi 775 pazienti arruolati.
Nei 658 pazienti inclusi dopo i primi 775, l’endpoint combinato "ricovero o morte entro un mese" era numericamente più frequente nel gruppo molnupiravir: nel 6,2% dei pazienti (compreso un decesso), rispetto al 4,6% nel gruppo placebo (compreso un decesso). Né l'azienda né la FDA hanno spiegato questo risultato.
I dati disponibili mostrano che iniziare il trattamento entro i primi 3 giorni dall'inizio dei sintomi non è più vantaggioso rispetto al 4° o 5° giorno.
Iniziando la terapia entro 3 giorni l'endpoint combinato di ricovero o morte entro un mese si è verificato nel 7,4% dei pazienti nel gruppo molnupiravir, rispetto all'8,4% nel gruppo placebo.
Iniziando al 4° o 5° giorno l’endpoint si è verificato nel 6,2% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto all'11% nel gruppo placebo.
Il 20% degli arruolati aveva un sierologico positivo per anticorpi anti-SARS-CoV2. La randomizzazione, tuttavia, è avvenuta senza attendere il risultato del test.
Secondo l'EMA, questi anticorpi in individui non vaccinati, con maggiore probabilità, indicavano un'infezione pregressa e non una risposta immunitaria all'infezione attuale.
In questo sottogruppo con sierologico positivo, l'endpoint combinato si è verificato nel 3,7% dei pazienti trattati con molnupiravir rispetto all'1,4% di chi ha ricevuto il placebo.
Il decorso della malattia, cioè, era significativamente migliore in tutti i pazienti con risposta anticorpale rispetto a quelli senza, indipendentemente dal trattamento. In questi pazienti a basso rischio, molnupiravir non sembra conferire alcun beneficio aggiuntivo.
In 293 adulti ricoverati, con COVID sintomatico fino a 10 giorni, è stato condotto uno studio randomizzato in doppio cieco. Il 76% dei pazienti ha iniziato il trattamento più di 5 giorni dopo l'inizio dei sintomi.
La mortalità nel mese successivo, principalmente per COVID, è stata del 6,9% con molnupiravir rispetto al 2,7% con placebo. I gruppi molnupiravir o placebo non differivano per tempo di cura (mediana 9 giorni). Lo studio è stato interrotto prima del tempo.
Gli effetti avversi noti degli analoghi nucleosidici variano a seconda del principio attivo.
Per esempio, l'aciclovir può causare cefalea, vertigini, confusione, allucinazioni, convulsioni, oltre a cristalluria che può portare a insufficienza renale. La zidovudina può indurre problemi ematologici, il tenofovir disturbi ossei e renali e l'abacavir reazioni di ipersensibilità gravi.
Nello studio su 1433 pazienti ambulatoriali è stata segnalata un’anemia moderata nel 4% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto al 2% nel gruppo placebo. Nello studio sui pazienti ricoverati è stata segnalata anemia nel 22% nel braccio molnupiravir 800 mg rispetto all'8% nel braccio placebo.
Valutando anche gli studi su volontari sani e quelli posologici, gli effetti avversi indicati dall'EMA per molnupiravir sono cefalea, vertigini, nausea, diarrea (comuni ) e rash e orticaria (poco comuni).
La somministrazione di molnupiravir induce numerose mutazioni nel genoma di SARS-CoV2 con effetto dose-dipendente.
Nel gruppo di 1433 pazienti, queste mutazioni sono state studiate in un centinaio di loro.
Tra gli altri, le mutazioni interessano anche il gene che codifica la proteina spike: sono comparse nel 35% circa dei pazienti esposti a molnupiravir, rispetto al 20% circa di chi ha ricevuto il placebo.
L’uso su larga scala di molnupiravir potrebbe influenzare l’evoluzione di SARS-CoV2, sia per la comparsa di nuove varianti sia per lo sviluppo di resistenze al trattamento. Non è nota l’entità di questo effetto.
Molnupiravir sembra avere poche interazioni farmacologiche. L’NHC è metabolizzata come altri ribonucleosidi, con minima eliminazione renale e metabolismo epatico marginale.
Gli studi in vitro non hanno rilevato interazioni con induttori o inibitori enzimatici, né inibizione o induzione sugli isoenzimi del citocromo P450.
Le donne in gravidanza e allattamento erano escluse dallo studio clinico principale.
A dosi superiori a quelle utilizzate negli studi clinici, gli studi sugli animali indicano tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità (disturbi ossei, malformazioni, ritardi nella crescita e perdita di embrioni).
Molnupiravir è un analogo della citidina orale. È stato studiato per un trattamento massimo di 5 giorni, in adulti con COVID sintomatico, senza necessità di ossigenoterapia, e con almeno un fattore di rischio per COVID grave.
Molnupiravir viene idrolizzato a N-idrossicitidina (NHC), che ha la struttura di un ribonucleoside. Durante la replicazione virale, quando la RNA polimerasi di SARS-CoV2 incorpora molecole di NHC nell'RNA virale, questo accumula mutazioni multiple oltre una soglia superata la quale il virus non può replicarsi (“mutagenesi letale”).
Il principale studio randomizzato, in doppio cieco, è stato condotto su 1433 adulti non vaccinati contro il COVID e con almeno un fattore di rischio per forme gravi di COVID.
I pazienti avevano un'età compresa tra 18 e 90 anni (3% ≥75 anni). Erano affetti da COVID documentato, sintomatico da meno di 5 giorni, considerato da lieve a moderato, e con poca probabilità di ricovero entro le 48 ore.
La randomizzazione prevedeva placebo o molnupiravir 800 mg mattina e sera per 5 giorni.
Sono stati esclusi i pazienti con insufficienza renale (eGFR <30), infezione da HIV con carica virale >50 copie/ml o conta dei neutrofili <500/ml.
I fattori di rischio per COVID grave erano soprattutto obesità (74%), età >60 anni (17%), diabete (16%), cardiopatie (12%).
Entro un mese dall'inizio del trattamento, è deceduto un paziente nel gruppo molnupiravir (0,1%) rispetto a 9 pazienti nel gruppo placebo (1,3%). È stato ricoverato per almeno 24 ore il 6,8% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto al 9,6% nel gruppo placebo. I risultati sono al limite della significatività statistica.
I risultati dell’analisi statistica su 1433 pazienti erano meno favorevoli al farmaco rispetto a quelli dell'analisi ad interim dei primi 775 pazienti arruolati.
Nei 658 pazienti inclusi dopo i primi 775, l’endpoint combinato "ricovero o morte entro un mese" era numericamente più frequente nel gruppo molnupiravir: nel 6,2% dei pazienti (compreso un decesso), rispetto al 4,6% nel gruppo placebo (compreso un decesso). Né l'azienda né la FDA hanno spiegato questo risultato.
I dati disponibili mostrano che iniziare il trattamento entro i primi 3 giorni dall'inizio dei sintomi non è più vantaggioso rispetto al 4° o 5° giorno.
Iniziando la terapia entro 3 giorni l'endpoint combinato di ricovero o morte entro un mese si è verificato nel 7,4% dei pazienti nel gruppo molnupiravir, rispetto all'8,4% nel gruppo placebo.
Iniziando al 4° o 5° giorno l’endpoint si è verificato nel 6,2% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto all'11% nel gruppo placebo.
Il 20% degli arruolati aveva un sierologico positivo per anticorpi anti-SARS-CoV2. La randomizzazione, tuttavia, è avvenuta senza attendere il risultato del test.
Secondo l'EMA, questi anticorpi in individui non vaccinati, con maggiore probabilità, indicavano un'infezione pregressa e non una risposta immunitaria all'infezione attuale.
In questo sottogruppo con sierologico positivo, l'endpoint combinato si è verificato nel 3,7% dei pazienti trattati con molnupiravir rispetto all'1,4% di chi ha ricevuto il placebo.
Il decorso della malattia, cioè, era significativamente migliore in tutti i pazienti con risposta anticorpale rispetto a quelli senza, indipendentemente dal trattamento. In questi pazienti a basso rischio, molnupiravir non sembra conferire alcun beneficio aggiuntivo.
In 293 adulti ricoverati, con COVID sintomatico fino a 10 giorni, è stato condotto uno studio randomizzato in doppio cieco. Il 76% dei pazienti ha iniziato il trattamento più di 5 giorni dopo l'inizio dei sintomi.
La mortalità nel mese successivo, principalmente per COVID, è stata del 6,9% con molnupiravir rispetto al 2,7% con placebo. I gruppi molnupiravir o placebo non differivano per tempo di cura (mediana 9 giorni). Lo studio è stato interrotto prima del tempo.
Gli effetti avversi noti degli analoghi nucleosidici variano a seconda del principio attivo.
Per esempio, l'aciclovir può causare cefalea, vertigini, confusione, allucinazioni, convulsioni, oltre a cristalluria che può portare a insufficienza renale. La zidovudina può indurre problemi ematologici, il tenofovir disturbi ossei e renali e l'abacavir reazioni di ipersensibilità gravi.
Nello studio su 1433 pazienti ambulatoriali è stata segnalata un’anemia moderata nel 4% dei pazienti nel gruppo molnupiravir rispetto al 2% nel gruppo placebo. Nello studio sui pazienti ricoverati è stata segnalata anemia nel 22% nel braccio molnupiravir 800 mg rispetto all'8% nel braccio placebo.
Valutando anche gli studi su volontari sani e quelli posologici, gli effetti avversi indicati dall'EMA per molnupiravir sono cefalea, vertigini, nausea, diarrea (comuni ) e rash e orticaria (poco comuni).
La somministrazione di molnupiravir induce numerose mutazioni nel genoma di SARS-CoV2 con effetto dose-dipendente.
Nel gruppo di 1433 pazienti, queste mutazioni sono state studiate in un centinaio di loro.
Tra gli altri, le mutazioni interessano anche il gene che codifica la proteina spike: sono comparse nel 35% circa dei pazienti esposti a molnupiravir, rispetto al 20% circa di chi ha ricevuto il placebo.
L’uso su larga scala di molnupiravir potrebbe influenzare l’evoluzione di SARS-CoV2, sia per la comparsa di nuove varianti sia per lo sviluppo di resistenze al trattamento. Non è nota l’entità di questo effetto.
Molnupiravir sembra avere poche interazioni farmacologiche. L’NHC è metabolizzata come altri ribonucleosidi, con minima eliminazione renale e metabolismo epatico marginale.
Gli studi in vitro non hanno rilevato interazioni con induttori o inibitori enzimatici, né inibizione o induzione sugli isoenzimi del citocromo P450.
Le donne in gravidanza e allattamento erano escluse dallo studio clinico principale.
A dosi superiori a quelle utilizzate negli studi clinici, gli studi sugli animali indicano tossicità materna, embriotossicità e teratogenicità (disturbi ossei, malformazioni, ritardi nella crescita e perdita di embrioni).
Il farmaco non va quindi essere assunto in gravidanza. Alle donne in età fertile è raccomandata una contraccezione affidabile fino a quattro giorni dopo l'ultima dose. Gli uomini non dovrebbero procreare durante il trattamento e per i tre mesi successivi.
L’utilizzo di molnupiravir per soli 5 giorni può limitare la mutagenesi dell'mRNA dell'ospite e gli eventi avversi. Considerato il meccanismo d'azione, teoricamente molnupiravir potrebbe essere metabolizzato nelle cellule umane e incorporato nel DNA con conseguenti mutazioni.
Secondo un editorialista di NEJM Evidence sono necessari più dati sulla sicurezza prima di un utilizzo su larga scala.
Si sono anche levate voci di cautela nell’uso di un farmaco che può essere mutageno. Inoltre, come osserva un commentatore sul BMJ, “…c'è una certa ironia nel fatto che i noVax che hanno creduto alla bufala dei vaccini che alterano il DNA, sembrino disposti ad accettare un’alternativa che effettivamente potrebbe avere effetti negativi sul DNA”.
In pratica - Nell’Assessment report del novembre 2021 l’EMA conclude: “Considerando i dati forniti dall'azienda sugli aspetti qualitativi, preclinici e il dataset clinico, molnupiravir potrebbe conferire un beneficio clinico nel trattamento di adulti con COVID, che non richiedono ossigenoterapia e che sono a maggior rischio di progressione verso una forma grave”.
Secondo i dati oggi disponibili, in pazienti adulti con COVID, sintomatici da meno di 5 giorni, con almeno un fattore di rischio di peggioramento e non vaccinati, molnupiravir sembra ridurre parzialmente il rischio di ricovero.
Le evidenze sono piuttosto fragili, con notevole incertezza sull’entità di questo effetto, data la grande differenza tra i risultati dei primi 775 pazienti inclusi e quelli dei successivi 658 pazienti dello studio principale.
Molnupiravir non sembra utile in pazienti che hanno già anticorpi per un’infezione pregressa.
Gli effetti avversi sono ancora poco conosciuti e non è noto fino a che punto le mutazioni virali causate da molnupiravir possano avere conseguenze cliniche o epidemiologiche.
Molnupiravir et maladie covid-19 débutante sans signe de gravité : intérêt incertain, y compris chez des patients non vaccinés à risque d'aggravation
La Revue Prescrire Jan 2022;42 (459):30
Molnupiravir for Oral Treatment of Covid-19 in Nonhospitalized Patients.
N Engl J Med 2022; 386:509-520
- Video - 2:17'
Phase 2/3 Trial of Molnupiravir for Treatment of Covid-19 in Nonhospitalized Adults
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Randomized Trial of Molnupiravir or Placebo in Patients Hospitalized with Covid-19
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Molnupiravir: Is It Time to Move In or Move Out?
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Conditions of use, conditions for distribution and patients targeted and conditions for safety monitoring adressed to member states for unathorised product Lagevrio (molnupiravir) available for use
EMA - 19 novembre 2021
Use of molnupiravir for the treatment of Covid-19. EMEA/H/A-(3)/1512
EMA - 1 ottobre 2021
Buyer beware: molnupiravir may damage DNA.
BMJ 2021 Nov 4;375:n2663
Gilberto Lacchia - Pubblicato 12/02/2022 - Aggiornato 12/02/2022
Phase 2/3 Trial of Molnupiravir for Treatment of Covid-19 in Nonhospitalized Adults
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Randomized Trial of Molnupiravir or Placebo in Patients Hospitalized with Covid-19
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Molnupiravir: Is It Time to Move In or Move Out?
NEJM Evid 2021; 1 (2)
Conditions of use, conditions for distribution and patients targeted and conditions for safety monitoring adressed to member states for unathorised product Lagevrio (molnupiravir) available for use
EMA - 19 novembre 2021
Use of molnupiravir for the treatment of Covid-19. EMEA/H/A-(3)/1512
EMA - 1 ottobre 2021
Buyer beware: molnupiravir may damage DNA.
BMJ 2021 Nov 4;375:n2663
Gilberto Lacchia - Pubblicato 12/02/2022 - Aggiornato 12/02/2022
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