Passa ai contenuti principali

231 - Vaccini anti-COVID: BNT162b2 (tozinaméran)

Vaccini anti-COVID: BNT162b2 (tozinaméran) - Blog Prescrivere Tempo di lettura: 12 min
Il primo vaccino anti-COVID-19 utilizzato in Unione europea è il BNT162b2 (Comirnaty°), delle ditte Pfizer e BioNTech, la cui denominazione comune internazionale (INN) è tozinaméran, un vaccino a RNA messaggero (mRNA).

Vaccini a RNA messaggero - L'mRNA codifica per la proteina specifica contro la quale si desidera una risposta immunitaria (in questo caso la proteina spike del virus) e l'obiettivo è quello di far penetrare l'mRNA nelle cellule ospiti (ma non nel nucleo dove si trova il DNA umano), in modo che queste producano la proteina virale innescando la risposta immunitaria.

Nel vaccino i filamenti di mRNA sono contenuti in un sistema di trasporto con nanoparticelle a base lipidica che previene la degradazione enzimatica rapida dell'mRNA e facilita la somministrazione in vivo. Questo sistema di nanoparticelle lipidiche è ulteriormente stabilizzato da un coniugato lipidico con polietilenglicole (PEG) 2000 che fornisce uno strato idrofilo, prolungando l'emivita.

A dicembre 2020, la valutazione clinica del tozinaméran era basata su uno studio randomizzato e controllato con placebo in soggetti di età pari o superiore ai 16 anni. Vaccino e placebo sono stati somministrati con due iniezioni a distanza di 21 giorni.
Da: N Engl J Med 2020; 383:2603-2615


Lo studio ha arruolato circa 40.000 soggetti: 42% ≥55 anni, 21% ≥65 anni e 4% ≥75 anni. Il 3% del totale aveva una storia di COVID confermata e il 46% almeno un fattore di rischio per COVID grave oltre all'età. Il fattore di rischio più comune era l'obesità (35% dei soggetti) e, nei pazienti con una malattia cronica, questa era definita stabile.

Lo studio avrebbe dovuto essere in doppio cieco, ma alcune incertezze sulla segretezza del prodotto iniettato riducono il livello di evidenza dei risultati. I partecipanti al trial e i ricercatori che hanno valutato l'efficacia e gli eventi avversi non erano a conoscenza del prodotto iniettato, che tuttavia era noto ai responsabili della somministrazione, della preparazione delle dosi o dell'iniezione. Ciò rendeva possibile la divulgazione delle informazioni a persone che non avrebbero dovuto conoscerle (ricercatori e partecipanti). È anche possibile che alcuni partecipanti abbiano indovinato quale prodotto veniva iniettato a causa degli effetti avversi locali o sistemici molto comuni del vaccino (vedi oltre).

L'efficacia è stata valutata conteggiando i casi di COVID sintomatica confermata a partire dal settimo giorno dopo la seconda iniezione (endpoint primario). Dopo questa seconda iniezione, con un follow-up di almeno 1 mese per l'80% dei partecipanti e di almeno 2 mesi per il 44%, 9 persone nel gruppo del vaccino avevano contratto la COVID rispetto alle 169 del gruppo placebo, ovvero una riduzione del rischio relativo del 94,6% (IC 95%: 89,9-97,3%).

Tenendo conto di tutti i casi di COVID confermati biologicamente durante la sperimentazione, cioè anche quelli verificatisi dopo la prima iniezione, l'effetto protettivo del vaccino sembra comparire circa 15 giorni dopo la prima iniezione.

Nei 1093 pazienti che avevano avuto un'infezione da SARS-CoV2 prima dello studio (sierologia positiva), il numero di casi di COVID è stato molto basso, senza alcuna differenza tra quelli vaccinati e quelli del gruppo placebo.

Durante il follow-up, una persona del gruppo del vaccino ha avuto una forma grave di COVID confermata, contro 9 persone del gruppo placebo, ovvero una riduzione del rischio relativo dell'89% per le forme gravi, ma con IC 95% che va dal 20% al 100%. Questo ampio intervallo di confidenza riflette un elevato grado di incertezza sulla precisione del risultato, dato il basso numero di casi segnalati.

Più è avanzata l'età, maggiore è l'incertezza. I vaccini sono generalmente meno immunogenici negli anziani rispetto ai giovani adulti, con una possibile minore efficacia negli anziani.

Nelle persone di età ≥55 anni, l'efficacia preventiva per COVID di qualsiasi gravità dal settimo giorno dopo la seconda iniezione sembrava simile a quella dei soggetti più giovani. Per le età comprese tra i 65 e i 74 anni, l'efficacia calcolata è risultata pari a circa il 93%, ma con maggior margine di incertezza (IC 95%: 53-100%).

Nelle persone di età ≥75 anni, non ci sono stati casi di COVID nel gruppo del vaccino (su 805 soggetti) contro 5 casi nel gruppo placebo (su 812 soggetti). L'IC 95% per la riduzione del rischio relativo è però molto ampio, 12-100%, dato che dimostra che lo studio non era progettato per valutare l'efficacia in soggetti di età ≥75 anni.

Nelle persone con almeno un fattore di rischio per COVID grave, come ipertensione, diabete o obesità (la maggior parte di loro aveva meno di 65 anni), l'efficacia è risultata simile a quella rilevata in tutti i partecipanti: 95% di riduzione del rischio relativo per COVID (IC 95%: 88-99%).

Effetti avversi prevedibili - A tutt'oggi, nessun vaccino a mRNA per esseri umani è stato ancora commercializzato. A differenza del DNA, l'mRNA non è integrato nel materiale genetico della cellula e la presenza del PEG espone a ipersensibilità e reazioni anafilattiche (segnalate nel Regno Unito dove la campagna è iniziata prima). Il PEG è un composto utilizzato come eccipiente nei farmaci ed è stato implicato come causa di reazioni IgE-mediate e di anafilassi ricorrente. A oggi, nessun altro vaccino che abbia il PEG come eccipiente è stato utilizzato in modo diffuso.

È possibile che alcune popolazioni siano a maggior rischio di attivazione non IgE-mediata dei mastociti o di attivazione del complemento da parte delle nanoparticelle o della componente PEG-lipidica del vaccino (p.es. formulazioni come la doxorubicina liposomiale pegilata possono causare reazioni infusionali fino al 40% dei riceventi).

Secondo le attuali raccomandazioni del CDC, tutte le persone con una storia di reazione anafilattica a qualsiasi componente dei vaccini anti-COVID a mRNA dovrebbero evitare questi vaccini, e questa raccomandazione attualmente escluderebbe i pazienti con precedenti reazioni immediate associate al PEG.

Altri effetti avversi prevedibili del tozinaméran sono quelli dei vaccini in generale: reazioni locali nel sito di iniezione e reazioni sistemiche. I vaccini, inoltre, possono indurre malattie autoimmuni rare come la sindrome di Guillain-Barré (non sono stati segnalati casi durante la valutazione di questo vaccino).

In studi su animali, è stato segnalato un peggioramento, correlato al vaccino, dell'infezione da SARS-CoV1. Sulla base di questi dati, l'aggravamento di una possibile infezione da SARS-CoV2 da parte del vaccino è un'ipotesi da considerare e valutare.

Effetti avversi locali e sistemici frequenti - Nella sperimentazione su circa 40.000 soggetti, gli eventi avversi più comuni sono stati: reazioni nel sito di iniezione (dolore, arrossamento, gonfiore) in circa il 75% dei vaccinati dopo ogni iniezione rispetto al 12% nel gruppo placebo; e reazioni sistemiche (tra cui febbre a volte >39°C, spossatezza, cefalea, brividi, mialgie) in circa il 65% dei vaccinati dopo ogni iniezione rispetto al 40% circa nel gruppo placebo. La durata media delle reazioni sistemiche è stata di un giorno e queste erano a volte gravi da limitare in modo importante le attività quotidiane. Circa il 20% delle persone ha assunto antipiretici/analgesici dopo la prima iniezione e il 40% circa dopo la seconda, (10% circa dopo 1 iniezione di placebo).

Altri eventi avversi segnalati più frequentemente nel gruppo del vaccino sono stati le linfoadenopatie (in 64 persone contro 6 nel gruppo placebo) e la paralisi facciale (4 casi rispetto a nessuno).

Gli anziani non hanno subito più eventi avversi rispetto agli altri.

In base ai dati del principale studio clinico che ha valutato il tozinaméran, la conclusione dei revisori della rivista Prescrire sono che:
  • lo studio dimostra un'elevata efficacia del vaccino per la prevenzione della COVID a breve termine, con una protezione di durata non nota;
  • questo studio non è stato progettato per valutare l'efficacia in persone di età ≥75 anni (meno di 2000 soggetti), ma sulla base dei dati complessivi, è probabile una certa efficacia di entità non nota;
  • le reazioni avverse note al vaccino sono soprattutto reazioni locali e sistemiche molto frequenti, a volte gravi, e rare reazioni anafilattiche. Non è stato identificato alcun segnale specifico di farmacovigilanza, ma ci sono ancora molte incognite inerenti al ridotto numero di soggetti vaccinati, come per qualsiasi altro nuovo farmaco, vaccino o prodotto, soprattutto in soggetti di età ≥75 anni.
Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine.
N Engl J Med 2020 Dec 10 [Online]

Maintaining Safety with SARS-CoV-2 Vaccines
N Engl J Med. 2020 Dec 30 [Online]

Prescrire International - December 23, 2020 - [online]





                                                                                                 Gilberto Lacchia




______________________________________


Pubblicato: 11/01/2021 Aggiornato: 11/01/2021




Commenti

Post popolari in questo blog

266 - Oppioidi e antidepressivi: attenti alle interazioni pericolose

[Tempo di lettura: 7 min]  Associare oppioidi e farmaci antidepressivi espone a diversi tipi di interazione. Alcuni oppioidi aumentano l'attività serotoninergica e possono indurre una sindrome serotoninergica. In certi casi gli SSRI possono bloccare il metabolismo degli oppioidi riducendo l’effetto analgesico di alcuni o aumentando le concentrazioni e il rischio di effetti avversi di altri. La strategia preventiva più semplice è quella di evitare la prescrizione degli oppioidi associati a maggiori rischi di interazione. L'effetto analgesico degli oppioidi è mediato attraverso tre recettori oppioidi principali, mu , delta e kappa .  Molti oppioidi, soprattutto quelli sintetici, agiscono anche su altri target, bloccando per esempio la ricaptazione di serotonina e noradrenalina e i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Alcuni oppioidi inibiscono il trasportatore di serotonina che aumenta le concentrazioni di serotonina nella sinapsi e quindi l'effetto postsinaptico della se

392 - Tremore indotto da farmaci

Tempo di lettura: 5 min Il tremore è un sintomo molto frequente e non è sempre facile stabilire se sia causato o esacerbato da un farmaco. Si classifica in base al comportamento associato: tremore d'azione di tipo cinetico (durante un movimento volontario) o posturale (mantenimento di una postura), tremore a riposo e tremore intenzionale (durante un movimento diretto a un obiettivo). Alcuni fattori utili per la diagnosi del tremore da farmaci sono: 1) esclusione di altre cause mediche di tremore ( p.es . ipertiroidismo, ipoglicemia); 2) rapporto temporale con l'inizio della terapia; 3) rapporto dose-risposta (l'aumento della dose peggiora il tremore e viceversa); e 4) mancanza di progressione (i tremori del morbo di Parkinson e i tremori essenziali si modificano nel tempo). I pazienti più a rischio sono quelli più anziani, per diversi motivi: Interazione con le patologie di base ( p.es . il parkinsonismo indotto da metoclopramide è più intenso in caso di

304 - Scialorrea da farmaci

[Tempo di lettura: 4 min]    Diversi farmaci, utilizzati soprattutto in psichiatria, possono causare ipersalivazione. È un problema che può ridurre la qualità di vita dei pazienti e a volte avere complicanze gravi. La scialorrea (ipersalivazione) è un sintomo soggettivo, percepito dal paziente come eccessiva produzione di saliva. A volte si presenta con una fuoriuscita di saliva dalla bocca perché il soggetto non riesce a trattenerla dietro la barriera labiale. È un fenomeno comune nei neonati, ma è considerata anomala dopo i quattro anni. Può essere causata dalla diminuzione della frequenza di deglutizione o dall’aumento della produzione di saliva. Le cause possono essere locali (odontalgia, protesi mal posizionate, infiammazioni o infezioni orali), neurologiche (nevralgia trigeminale, tumori cerebrali, morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica), tossiche (mercurio, iodio, fluoruro di sodio, funghi velenosi, nicotina) o farmacologiche. La scialorrea può avere diverse cons