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535 - Approccio alla terapia anticoagulante nella trombosi venosa

Per la terapia anticoagulante nei pazienti con trombosi venosa profonda ed embolia polmonare sono disponibili diversi farmaci. I fattori da tenere presente per la scelta del farmaco e per decidere la durata della terapia sono numerosi. [Lettura 10 min]

La trombosi venosa profonda (TVP) e l'embolia polmonare (EP) sono forme di tromboembolia venosa (TEV).

La terapia anticoagulante è alla base della terapia per la TEV, con lo scopo di prevenire le recidive, l’embolia e la morte, il cui rischio è maggiore nei primi 3-6 mesi dalla diagnosi.

Dopo la terapia anticoagulante iniziale per i primi 5-10 giorni, i pazienti con TEV richiedono una terapia più prolungata.

Nella definizione del tipo e della durata della terapia anticoagulante è importante tenere presenti alcuni concetti:
  • TVP non provocata: non è presente un evento ambientale causale.
  • TVP provocata: è causata da un evento noto (p.es. intervento chirurgico, ricovero, trauma,…).
  • Fattori di rischio transitori: intervento chirurgico maggiore >30 minuti, ricovero o immobilità ≥3 giorni, parto cesareo.
  • Fattori di rischio minori transitori: intervento chirurgico minore <30 minuti, ricovero <3 giorni, gravidanza, terapia estroprogestinica, riduzione della mobilità ≥3 giorni.
  • Fattori di rischio persistenti: condizioni reversibili (p.es. neoplasie curabili, malattie infiammatorie intestinali che possono risolversi) e condizioni irreversibili (p.es. trombofilia ereditaria, insufficienza cardiaca cronica e neoplasie metastatiche in fase terminale).
  • Terapia anticoagulante iniziale: terapia sistemica dei primi giorni (di solito fino a 10 giorni) dopo una diagnosi di TEV acuto.
  • Terapia anticoagulante a lungo termine: somministrata per un periodo di tempo limitato oltre il periodo iniziale, di solito da tre a sei mesi e occasionalmente fino a 12 mesi, con una data di sospensione programmata.
  • Terapia anticoagulante prolungata: somministrata a tempo indeterminato, senza data di interruzione programmata

SCELTA DELL’ANTICOAGULANTE

I farmaci per la terapia anticoagulante a lungo termine comprendono:
  • anticoagulanti orali (cioè inibitori del fattore Xa, inibitori diretti della trombina e warfarin)
  • anticoagulanti parenterali sottocutanei (eparina a basso peso molecolare e fondaparinux).
La scelta tra queste diverse opzioni dipende da vari fattori, tra cui anche le preferenze dei pazienti (p.es. il desiderio di evitare le iniezioni quotidiane o la necessità di monitoraggio dell’INR, la preferenza per un’unica somministrazione quotidiana, ecc.).

Nella popolazione generale, in assenza di gravidanza, insufficienza renale grave o cancro in fase attiva, sono di solito preferiti gli anticoagulanti diretti (DOAC).

Gravidanza - L'eparina a basso peso molecolare è la prima scelta per la terapia anticoagulante a lungo termine nelle donne in gravidanza con TEV acuta.

Sindrome da anticorpi antifosfolipidi - Per i pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi si raccomanda una terapia anticoagulante prolungata con warfarin.

Eparine a basso peso molecolare (EBPM) - È un'alternativa per pazienti non gravide in cui non è possibile assumere farmaci per via orale (p.es. malassorbimento).

È la terapia preferita per la TVP in gravidanza e in pazienti con neoplasie attive.

In alcuni casi sono preferite anche in pazienti con epatopatie importanti.

I principi attivi sono sostanzialmente equivalenti e le posologie sono indicate in scheda tecnica.

Sono controindicate nei pazienti con clearance della creatinina <30 ml/min e vanno effettuati aggiustamenti posologici in caso di insufficienza renale con clearance tra 30 e 60 ml/min.

Fondaparinux - È un inibitore del fattore Xa per via sottocutanea. È controindicato nella disfunzione renale grave. È un'alternativa all’EBPM quando quest'ultima non può essere somministrata a causa di una trombocitopenia indotta da eparina in anamnesi (HIT).


DURATA DEL TRATTAMENTO

La durata della terapia anticoagulante va definita dalla presenta di diversi fattori:
  • TVP provocata o meno
  • fattori di rischio
  • rischio di recidiva e di emorragia
  • preferenze dei pazienti
Queste considerazioni non si applicano ai pazienti con cancro in fase attiva, donne in gravidanza o pazienti in cui deve essere presa in considerazione la terapia anticoagulante a tempo indeterminato.

In generale, si applica quanto segue:
  • La maggior parte dei pazienti con un primo episodio di TEV (provocato o non provocato) deve ricevere una terapia anticoagulante per un minimo di tre mesi.
  • In alcune popolazioni selezionate, la terapia anticoagulante viene estesa a 6 o 12 mesi (p.es. flegmasia cerulea dolens, fattori di rischio persistenti ma reversibili, EP emodinamicamente significativa), anche se i benefici di questa scelta non sono ben dimostrati.
Le prove a sostegno della terapia anticoagulante per un minimo di tre mesi derivano da studi randomizzati e metanalisi in pazienti con TEV acuto che comprendevano una percentuale significativa di pazienti con un evento non provocato (TEV idiopatica o spontanea).

L'evidenza è più debole per i pazienti con TVP distale, in particolare per gli episodi provocati da un fattore reversibile o transitorio (p.es. chirurgia ortopedica) e per i pazienti con EP asintomatica, incidentale o subsegmentale di piccole dimensioni.

Le evidenze cumulative degli studi randomizzati e delle meta-analisi suggeriscono che, senza un'adeguata anticoagulazione, il rischio di TEV venoso ricorrente (TVP e EP) è più elevato nei primi tre mesi successivi all'evento iniziale.

Ridurre il periodo di terapia anticoagulante da 3-6 mesi a 4-6 settimane comporta un aumento del rischio di TEV ricorrente, anche nei pazienti con TVP distale.



SOSTITUZIONE DEGLI ANTICOAGULANTI DURANTE LA TERAPIA

Le interruzioni della terapia anticoagulante devono essere limitate soprattutto nei primi tre mesi. Tuttavia, per diversi motivi può essere necessario sostituire l’anticoagulante:
  • Peggioramento della funzione renale (si allunga l'emivita delle EBPM, del fondaparinux e dei DOAC)
  • Scarsa compliance o difficoltà a eseguire il monitoraggio dell’INR
  • Risoluzione del cancro attivo
  • Dolore o infiammazione in corrispondenza dei siti di iniezione
  • Necessità di eseguire procedure invasive
  • Recidiva della TEV nonostante la terapia anticoagulante
I pazienti vanno avvertiti che la sostituzione dell’anticoagulante può comportare un aumento non quantificabile del rischio di emorragia e recidive trombotiche.

Quando si inserisce o si sostituisce un DOAC è preferibile utilizzare protocolli simili a quelli seguiti negli studi che hanno studiato questi farmaci in pazienti con fibrillazione atriale e TEV.

In generale, si applica quanto segue.

Transizione dall'EBPM:
  • Warfarin ed EBPM vengono somministrati contemporaneamente per quattro o cinque giorni fino a quando l'INR è nell’intervallo terapeutico per un minimo di 24 ore fino a due giorni consecutivi.
  • Il passaggio ai DOAC avviene generalmente somministrando il farmaco orale da zero a due ore prima della successiva dose programmata di EBPM.


MONITORAGGIO

Tutti i pazienti in terapia anticoagulante devono essere monitorati clinicamente per verificare l'efficacia terapeutica (eventuali recidive), le emorragie e lo sviluppo di condizioni che interferiscono con l'emivita dei farmaci utilizzati (p.es. insufficienza renale, gravidanza, aumento/perdita di peso) e gli effetti avversi dei farmaci (p.es. necrosi cutanea, trombocitopenia, osteoporosi).

Il monitoraggio di laboratorio varia a seconda dell'anticoagulante utilizzato.

Anticoagulanti diretti – Non richiedono un monitoraggio di laboratorio di routine perché sono somministrati a dose e i parametri di laboratorio non sono correlati con gli endpoint clinici.

I pazienti devono essere attentamente monitorati dal punto di vista clinico per quanto riguarda le emorragie e l'insufficienza renale.

Il monitoraggio dell'efficacia terapeutica è difficile e viene effettuato raramente, per esempio in pazienti con peso corporeo estremo, cioè <50 kg o >130 kg.

Warfarin – Viene monitorato il tempo di protrombina (PT), espresso come INR. L’obiettivo di INR è compreso tra 2 e 3 (target 2,5). Il dosaggio del warfarin deve essere individualizzato perché fattori come le interazioni farmacologiche, l'aumento dell'età e genotipi specifici ne alterano la risposta.

Eparina a basso peso molecolare e fondaparinux – Non richiedono un monitoraggio di laboratorio di routine perché i parametri di laboratorio non sono stati correlati con gli endpoint clinici (recidive ed emorragie).

Va monitorata la funzione renale, che può prolungare la loro emivita. In caso di dubbi sulla dose corretta di EBPM (p.es. per i pazienti affetti da obesità o insufficienza renale), si ricorre talvolta alla misurazione dell'attività del fattore Xa.

Fondaparinux non richiede monitoraggio di routine nella pratica clinica. La misurazione dei livelli farmacologici di fondaparinux può essere appropriata nei pazienti con emorragie maggiori.


TROMBOEMBOLIA VENOSA RECIDIVANTE DURANTE LA TERAPIA ANTICOAGULANTE

Alcuni pazienti possono avere un evento tromboembolico durante la terapia anticoagulante.

In questi pazienti, la diagnosi di recidiva deve essere confermata con esami radiologici (p.es. ripetendo l'ecografia con compressione venosa o l'angio-TC polmonare).

La causa più comune è la terapia anticoagulante a dosaggio subterapeutico, ma possono essere presenti anche altre eziologie, tra cui una condizione trombofilica continuativa (p.es. neoplasie maligne). Talvolta non è evidente alcuna causa (idiopatica).


 
UpToDate - Topic last updated: Jun 07, 2023






Gilberto Lacchia - Pubblicato 15/01/2024 - Aggiornato 15/01/2024 

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