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580 - Vitamina D: linee guida controcorrente

Le nuove linee guida sconsigliano comportamenti ormai consolidati nella pratica, ma non dalle prove scientifiche. Basta con i dosaggi della vitamina D sierica e con la definizione di livelli "target" da raggiungere. [Lettura 7 min]

Nel 2011, la Endocrine Society aveva pubblicato una linea guida su “Valutazione, trattamento e prevenzione della carenza di vitamina D” nella quale i punti principali erano:
  • lo screening di routine nella popolazione generale adulta era sconsigliato, ma raccomandato solo per i soggetti ad alto rischio di carenza (p.es. pazienti con osteoporosi, obesità o storia di cadute);
  • la carenza di vitamina D veniva definita da livelli sierici di 25-idrossivitamina D (25[OH]D) <20 ng/mL, sebbene si riconoscesse la variabilità dei metodi di dosaggio;
  • l'apporto dietetico raccomandato era di almeno 600 UI al giorno (800 UI dopo i 70 anni), con possibilità di aumentare fino a ≥1500 UI nei soggetti a rischio. Si sottolineava la scarsa presenza di vitamina D negli alimenti e l'insufficiente esposizione solare in molti adulti;
  • le linee guida consideravano equivalenti i supplementi di vitamina D2 (ergocalciferolo) e D3 (colecalciferolo);
  • l'integrazione era indicata principalmente per la salute scheletrica e la prevenzione delle cadute negli anziani. Non erano considerate evidenze robuste quelle che la sostenevano a supporto di benefici cardiovascolari, della mortalità o della qualità di vita generale.
Nel giugno 2024 la stessa società scientifica ha pubblicato una linea guida aggiornata, influenzata da un corpus sostanziale di ricerche condotte negli ultimi anni.

È stato adottato un approccio metodologico rigoroso focalizzandosi soprattutto su studi clinici randomizzati per minimizzare i bias e i fattori confondenti tipici degli studi osservazionali.

Anziché basarsi su endpoint surrogati (marker biochimici come l'assorbimento intestinale di calcio o i livelli di PTH) sono stati privilegiati endpoint clinici, come la riduzione del rischio di fratture.

Queste linee guida ribadiscono l'importanza di basare le raccomandazioni su evidenze da studi clinici randomizzati piuttosto che studi osservazionali, e di considerare esiti clinicamente rilevanti per i pazienti invece di soli marcatori surrogati.

Dagli studi valutati dal comitato di esperti non emerge nessuna correlazione significativa tra livelli basali ed effetti della vitamina D. Il comitato si è focalizzato sui sottogruppi con 25(OH)D basale <20-24 ng/mL concludendo che non ci sono evidenze forti che sostengano soglie di 25(OH)D legate a benefici specifici.

Tra 50-74 anni non emerge alcun chiaro beneficio dalla integrazione con 25(OH)D. In soggetti di età ≥75 anni potrebbe esserci un piccolo ma importante beneficio sulla mortalità, non limitato a bassi livelli basali di 25(OH)D (possibili benefici su cadute, fratture e infezioni respiratorie anche se i dati sono limitati).

In adulti <50 anni e donne in gravidanza non ci sono prove insufficienti per definire soglie di 25(OH)D. In adulti <50 anni le evidenze non supportano l'integrazione di routine, mentre in gravidanza i benefici non sono chiaramente limitati a bassi livelli di 25(OH)D.

Queste conclusioni sono riassunte graficamente nel forest plot della revisione sistematica commissionata dal gruppo di esperti (da The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. 2024;109(8):1948–54).



Qui sotto trovate una sintesi delle raccomandazioni per gli adulti.

Definizione dei livelli di vitamina D - In passato, la Endocrine Society aveva etichettato i livelli di vitamina D come “carente” con valori di idrossivitamina D (25[OH]D) <20 ng/mL, e “insufficiente” quando la 25(OH)D sierica era compresa tra 20 ng/mL e 29 ng/mL.

Oggi la Società non sostiene più livelli specifici di 25(OH)D per definire sufficienza, insufficienza e carenza di vitamina D, termini che non dovrebbero più essere utilizzati.

La motivazione è che la ricerca clinica non ha stabilito soglie distinte di livelli sierici che possano essere associate con sicurezza a esiti clinici specifici.

Integrazione nelle fasce più giovani di popolazione - Nella popolazione generale di adulti (fascia di età, 19-74 anni), non sono raccomandati né l'integrazione di routine della vitamina D né il test di routine dei livelli di 25(OH)D.

Negli adulti di questa fascia d'età è utile attenersi alla dose giornaliera raccomandata per l'assunzione di vitamina D: 600 UI/d fino a 70 anni, e 800 UI/d per le persone di età ≥70 anni.

Anziani - Per le persone di età ≥75 anni non è raccomandato il dosaggio di routine dei livelli di 25(OH)D. L'integrazione empirica di vitamina D è raccomandata per la “possibile riduzione della mortalità”.

Gli autori riconoscono che, in una metanalisi degli studi clinici, l'effetto sulla mortalità è piccolo e al limite della significatività statistica (rischio relativo, 0,96; IC95%, 0,93-1,00).

Una revisione delle evidenze non ha mostrato alcuna evidenza conclusiva che l'integrazione riduca i rischi di fratture, cadute o infezioni in questo gruppo di età.

Tipi di vitamina D da utilizzare - L'integrazione negli anziani può avvenire sia attraverso l'assunzione con la dieta, sia attraverso preparati di vitamina D.

Poiché le fonti alimentari naturali di vitamina D sono limitate, per garantire un'assunzione adeguata attraverso la sola dieta spesso sono necessari alimenti con aggiunta di vitamina D.

Gli autori suggeriscono indirettamente che l'integrazione con circa 1000 UI al giorno è ragionevole.

Gravidanza - L'integrazione empirica di vitamina D è raccomandata durante la gravidanza (alimenti o preparati vitaminici).

Popolazioni speciali - L'integrazione empirica è raccomandata in adulti con “prediabete ad alto rischio”, sulla base di metanalisi che suggeriscono che l'integrazione potrebbe ridurre il rischio di progressione verso il diabete (rischio relativo, 0,90; significato statistico borderline).

La linea guida non indica chiaramente la differenza tra “prediabete ad alto rischio” e semplice “prediabete”.

Lo screening di routine per i bassi livelli di vitamina D negli adulti con obesità e negli adulti con carnagione scura non è raccomandato.

Alte o basse dosi? - Quando viene somministrata un'integrazione, si raccomandano basse dosi giornaliere (piuttosto che alte dosi somministrate a intervalli settimanali o mensili), perché l'evidenza suggerisce alcuni effetti avversi con un dosaggio elevato intermittente.


 
In pratica - Questa linea guida potrebbe influenzare in modo sostanziale la pratica se i medici decidessero di seguirla.

La pratica comune di richiedere il dosaggio di 25(OH)D di routine non è raccomandata e le categorie di “carenza” e “insufficienza”, basate sui livelli sierici di 25(OH)D, sono state abbandonate.

Dosare i livelli sierici di 25(OH)D in persone relativamente sane e prescrivere integratori di vitamina D per ottenere livelli ≥30 ng/mL (o anche superiori) non è supportato da questa linea guida.

Va notato che la linea guida non si applica a persone con condizioni cliniche che influenzano la fisiologia della vitamina D (p.es. malassorbimento, malattia renale cronica, altri disturbi del metabolismo del calcio) o alle persone con sintomi ossei che potrebbero riflettere un'osteomalacia causata da una carenza di vitamina D. In questi casi, i test sono ovviamente necessari.

Un ultimo punto: la linea guida sottolinea il contributo della dieta all'apporto giornaliero raccomandato di vitamina D di un paziente. Tuttavia, ottenere queste informazioni attraverso l'anamnesi nelle visite di routine non è facile e spesso non sappiamo se l'esposizione alla luce solare di un individuo sia sufficiente a garantire un adeguata sintesi di vitamina D.


📚 Bibliografia


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