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577 - Colesterolo LDL in prevenzione secondaria: meno è meglio?

Le linee guida del 2019 della ESC hanno indotto un trattamento molto aggressivo dell'ipercolesterolemia. È un approccio solidamente dimostrato dalle evidenze? [Lettura 6 min]

Dalla pubblicazione delle linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) del 2019 sulla gestione delle dislipidemie sono state sollevate obiezioni sull’abbassamento dei target di colesterolo LDL raccomandati, in particolare in prevenzione secondaria.

Soprattutto da parte degli specialisti, dopo la pubblicazione di queste linee guida, l’approccio al trattamento è molto più aggressivo.
 

Nel 2022 la rivista Prescrire aveva pubblicato un articolo di commento esponendo considerazioni tuttora valide.

Riassumo qui i concetti principali di quell’articolo che, nello stile di Prescrire, chiarisce quali sono le evidenze su cui si è basata l'ESC e pone alcune domande che mettono in dubbio quelli che potrebbero sembrare dogmi ormai indiscussi (che non esistono nella scienza).

L’articolo solleva alcuni interrogativi:
  • su quali dati si basa l'ESC per formulare queste indicazioni più aggressive?
  • qual è il livello di evidenza a supporto di queste nuove linee guida?
  • come vanno interpretate e applicate queste raccomandazioni nella pratica clinica quotidiana?
Le raccomandazioni dell’ESC si basano sul presupposto che esista una relazione lineare tra la riduzione del colesterolo LDL e la riduzione relativa del rischio di eventi cardiovascolari (”lower is better”).

Per sostenere questa ipotesi l’ESC si basa su alcune metanalisi pubblicate negli ultimi anni sulla terapia ipocolesterolemizzante e sull’effetto della riduzione del colesterolo LDL sul rischio cardiovascolare.


La metanalisi del 2016 mostra che esiste una relazione quasi lineare tra la riduzione dell'LDL e la riduzione relativa del rischio di un evento cardiovascolare maggiore.

Ogni riduzione di 0,5 mmol/l (20 mg/dl) dell'LDL ottenuta con una statina è associata a una riduzione relativa dell'11,5% del rischio.

Tuttavia, questi risultati non dimostrano che questa relazione rimane lineare al di fuori di questi limiti, in particolare oltre una riduzione di 1,86 mmol/l (72 mg/dl) dell’LDL, o quando l’LDL prima del trattamento è inferiore a 2,50 mmol/l (97 mg/dl).

I risultati della metanalisi del 2010 dimostrano che si previene un evento cardiovascolare ogni 34 pazienti con livelli di LDL di circa 2,3 mmol/l (89 mg/dl) trattati con una statina ad alto dosaggio per 5 anni, invece della dose abituale.

Non è stato dimostrato, però, che tale riduzione si traduca in una riduzione della mortalità cardiovascolare, né della mortalità totale, che tiene conto di alcuni effetti avversi gravi.

Le raccomandazioni dell’ESC si basano anche su una metanalisi del 2018, che ha identificato studi randomizzati che hanno valutato l'effetto su mortalità e complicanze cardiovascolari di vari ipocolesterolemizzanti: statine (rispetto a placebo, o rispetto a un'altra statina, o la stessa statina a un dosaggio diverso); ezetimibe; anti-PCSK9 (evolocumab e alirocumab).

Dei 34 studi inclusi, 16 sono stati condotti esclusivamente in contesti di prevenzione secondaria.

Secondo una metanalisi di questi 34 studi, la mortalità per tutte le cause e la mortalità cardiovascolare sono state ridotte nei gruppi di intervento rispetto ai gruppi di controllo, ad eccezione di cinque studi condotti in prevenzione secondaria in pazienti il cui colesterolo LDL medio al momento dell'inclusione era inferiore a 2,58 mmol/l (100 mg/dl).

In sintesi, secondo i revisori di Prescrire, le raccomandazioni sull'uso intensivo delle statine in prevenzione cardiovascolare secondaria sollevano importanti questioni sul rapporto rischio-beneficio di questo approccio.

Mentre è vero che dosi più elevate di statine possono ulteriormente ridurre il rischio di eventi cardiovascolari non fatali, questo beneficio deve essere bilanciato con l'aumento del rischio di effetti avversi delle statine (disturbi muscolari, aumento del rischio di diabete di tipo 2) che sono dose-dipendenti.

Inoltre, alcuni studi osservazionali e metanalisi hanno evidenziato una correlazione inversa tra bassi livelli di colesterolo LDL e aumento del rischio di ictus emorragico, suggerendo che puntare a valori estremamente bassi di LDL potrebbe non essere sempre la strategia ottimale.

Le raccomandazioni dell'ESC si basano su due ipotesi principali: che tutte le statine abbiano la stessa efficacia preventiva a parità di effetto sul colesterolo LDL e che l'effetto preventivo delle statine sia indipendente dal livello iniziale di LDL.

Queste ipotesi, tuttavia, non sono state né pienamente confermate né smentite.

In pratica - Secondo i revisori di Prescrire, per i pazienti in prevenzione secondaria con livelli di LDL intorno a 2,6 mmol/l (100 mg/dl), la decisione di intensificare ulteriormente il trattamento dovrebbe essere personalizzata.

Da un lato, ridurre ulteriormente l'LDL potrebbe ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, anche se senza un chiaro impatto sulla mortalità. Dall'altro, i benefici aggiuntivi diminuiscono man mano che il livello di LDL di partenza è più basso, mentre il rischio di effetti collaterali aumenta con dosi più elevate di statine.

In conclusione, secondo gli autori dell’articolo, sia mantenere l'LDL intorno a 100 mg/dl sia cercare di ottenere valori più bassi, possono essere opzioni ragionevoli, a seconda delle caratteristiche e delle preferenze dei pazienti.

L’attenzione sul colesterolo LDL, inoltre, non deve far trascurare altre misure preventive fondamentali: cessazione del fumo, terapia antiaggregante, controllo della pressione arteriosa e attività fisica.

Le linee guida forniscono un quadro di riferimento utile per la pratica clinica, ma il mondo reale in cui operiamo quotidianamente è infinitamente più complesso e sfaccettato di quanto qualsiasi linea guida possa catturare.

La focalizzazione eccessiva sul raggiungimento di un singolo parametro numerico rischia di farci perdere di vista la realtà multidimensionale dei nostri pazienti. Ogni persona che entra nei nostri studi porta con sé una storia unica, un contesto sociale e familiare specifico, preferenze personali, comorbidità e una serie di fattori che vanno ben oltre un semplice valore di laboratorio.

Il nostro ruolo come medici di famiglia deve andare oltre l'applicazione meccanica delle linee guida. Il nostro compito, più complesso, è quello di bilanciare le evidenze scientifiche con le circostanze individuali, valutare rischi e benefici, e prendere decisioni condivise con i nostri pazienti.

La vera arte della medicina di famiglia risiede nella nostra capacità di adattare le linee guida alla realtà complessa e variegata dei nostri pazienti. L'obiettivo ultimo non è raggiungere un numero su un referto di laboratorio, ma migliorare la qualità di vita e il benessere complessivo delle persone che si affidano alle nostre cure.

 

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