Passa ai contenuti principali

68 - Il punto sugli anticoagulanti orali diretti

Tempo di lettura: 6 min
A fronte di una elevata prevalenza di fibrillazione atriale intorno al 5% tra i 60 e i 70 anni e fino al 17% negli ultraottantenni, la terapia anticoagulante orale (TAO) con il warfarin riduce il rischio di ictus del 67% ma con un'importante percentuale di eventi emorragici e con notevoli difficoltà pratiche di gestione.

L'introduzione dei cosiddetti anticoagulanti orali diretti ha aumentato le opzioni terapeutiche mettendo a disposizione farmaci ugualmente efficaci ma con un profilo di sicurezza apparentemente migliore in termini di riduzione di sanguinamenti, soprattutto quelli intracranici. Anche se non li prescriviamo direttamente, è importante conoscerli per poter gestire il monitoraggio e le diverse problematiche dei pazienti in terapia con questo tipo di farmaci che tendono a essere sempre più utilizzati in alternativa al warfarin.

Gli anticoagulanti orali diretti (Direct Oral AntiCoagulants, DOACs), anche noti come Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO), hanno fornito per la prima volta un'alternativa terapeutica agli antagonisti della vitamina K, di cui il warfarin è il capostipite, mostrando la non inferiorità o la superiorità rispetto a esso nella prevenzione dell'ictus in caso di fibrillazione atriale non valvolare.

Nel complesso questi farmaci hanno fornito per la prima volta un'alternativa al warfarin in termini di efficacia e sicurezza, tuttavia maggiore attenzione deve essere posta nella gestione della terapia del singolo paziente valutando il rapporto rischio/beneficio. Dall'analisi del profilo di sicurezza dei DOACs rispetto al warfarin sembra che i due tratti maggiormente distintivi della terapia con i nuovi anticoagulanti siano un aumentato rischio di emorragie gastrointestinali e una riduzione del rischio di emorragie cerebrali.

I DOAC non sono intercambiabili ma deve essere fatta un'accurata contestualizzazione della terapia tenendo conto delle condizioni del paziente. Da una revisione sistematica pubblicata a giugno, il rivaroxaban è risultato il DOAC con il maggior rischio emorragico rispetto a dabigatran e apixaban, mentre quest'ultimo sembra, al momento, l'anticoagulante con il profilo di sicurezza più favorevole, sebbene sia stato anche l'ultimo a entrare in commercio.

I DOAC sono in grado di inibire il fattore II (dabigatran) o il fattore Xa (apixaban, rivaroxaban, edoxaban). È importante ricordare che i portatori di protesi meccaniche o i pazienti con stenosi severa della mitrale su base reumatica o con aneurismi non possono essere trattati con DOAC.

Nelle ultime linee guida ESC i DOAC sono stati considerati come possibili farmaci di prima scelta nella fibrillazione atriale non valvolare. Dopo aver optato per la terapia anticoagulante orale valutando il rischio tromboembolico (score CHA2DS2-VASc), è fondamentale la valutazione del rischio emorragico. È importante riconoscere i fattori che possono predisporre al sanguinamento acuto (per esempio presenza di diverticoli, frequenti cadute, pressione arteriosa non controllata) o un processo di anemizzazione cronica (insufficienza renale, riduzione della ferritina, gastrite atrofica, sanguinamento emorroidario, ulcere trofiche). I fattori che aumentano il rischio emorragico possono essere divisi in modificabili (per esempio uso di alcol, farmaci antiaggreganti o FANS) e non modificabili (età). Tra i vari algoritmi proposti per la valutazione nessuno è considerato completamente soddisfacente, ma lo score HAS-BLED è quello che ha dimostrato la miglior capacità predittiva.

La scelta del DOAC viene attraverso l'anamnesi e la raccolta dei dati antropometrici (altezza e peso) oltre a un accurato esame obiettivo cardiovascolare.

Vanno considerati:
  • indicazione alla TAO
  • controindicazioni alla TAO o ai DOAC (anemia grave o anemizzazione significativa recente (superiore a 2g/dL), valvole cardiache meccaniche, grave insufficienza renale con clearance della creatinina inferiore a 30)
  • indicazione all'uso dei DOAC a dosaggio ridotto
  • valutazione delle interazioni farmacologiche
Prima dell'inizio della terapia è necessario richiedere emocromo con formula, funzionalità epatica e creatinina con calcolo della clearance.

L'uso di questi farmaci non richiede il monitoraggio che si eseguiva per i pazienti in terapia con il warfarin, ma anche i pazienti con fibrillazione atriale trattati con DOAC richiedono un monitoraggio clinico. Evidenze recenti suggeriscono che l'insufficienza renale sia piuttosto frequente nei pazienti con fibrillazione atriale e che circa il 20-30% dei pazienti con fibrillazione atriale dopo un anno vada incontro a un peggioramento rapido della funzionalità renale. Ciò va tenuto in considerazione e può richiedere la riduzione di dosaggio del DOAC o anche la sospensione con il passaggio a un altro anticoagulante.

I fattori che possono determinare la scelta di un dosaggio ridotto sono una riduzione della funzione renale (filtrato glomerulare inferiore a 50), età avanzata (superiore a 80 anni), basso peso (inferiore a 50 kg) e uso concomitante di alcuni farmaci che possono interagire con il DOAC.

Quando è presente una cardiopatia ischemica con eventuale impianto di uno stent ed è necessario aggiungere alla terapia una terapia antiaggregante piastrinica, anche per un periodo variabile da tre mesi a un anno, i diversi DOAC devono essere somministrati a un dosaggio ridotto almeno fino a quando si mantiene l'associazione con l'antiaggregante. I nuovi antiaggreganti (prasugrel e ticagrelor) non dovrebbero essere utilizzati in pazienti con fibrillazione atriale trattati con DOAC, in quanto al momento non sono disponibili studi scientifici su questo uso.


Tromboprofilassi nella FA: quale DOAC per quali pazienti
Giornale Italiano dell'Arteriosclerosi 2017; 8 (4): 52-64

Documento regionale di indirizzo sul ruolo dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) nella prevenzione del cardioembolismo nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare
Regione Emilia Romagna



Gilberto Lacchia
______________________________________
Pubblicato: 26/11/2018 Aggiornato: 26/11/2018

Commenti

Post popolari in questo blog

266 - Oppioidi e antidepressivi: attenti alle interazioni pericolose

[Tempo di lettura: 7 min]  Associare oppioidi e farmaci antidepressivi espone a diversi tipi di interazione. Alcuni oppioidi aumentano l'attività serotoninergica e possono indurre una sindrome serotoninergica. In certi casi gli SSRI possono bloccare il metabolismo degli oppioidi riducendo l’effetto analgesico di alcuni o aumentando le concentrazioni e il rischio di effetti avversi di altri. La strategia preventiva più semplice è quella di evitare la prescrizione degli oppioidi associati a maggiori rischi di interazione. L'effetto analgesico degli oppioidi è mediato attraverso tre recettori oppioidi principali, mu , delta e kappa .  Molti oppioidi, soprattutto quelli sintetici, agiscono anche su altri target, bloccando per esempio la ricaptazione di serotonina e noradrenalina e i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Alcuni oppioidi inibiscono il trasportatore di serotonina che aumenta le concentrazioni di serotonina nella sinapsi e quindi l'effetto postsinaptico della se

392 - Tremore indotto da farmaci

Tempo di lettura: 5 min Il tremore è un sintomo molto frequente e non è sempre facile stabilire se sia causato o esacerbato da un farmaco. Si classifica in base al comportamento associato: tremore d'azione di tipo cinetico (durante un movimento volontario) o posturale (mantenimento di una postura), tremore a riposo e tremore intenzionale (durante un movimento diretto a un obiettivo). Alcuni fattori utili per la diagnosi del tremore da farmaci sono: 1) esclusione di altre cause mediche di tremore ( p.es . ipertiroidismo, ipoglicemia); 2) rapporto temporale con l'inizio della terapia; 3) rapporto dose-risposta (l'aumento della dose peggiora il tremore e viceversa); e 4) mancanza di progressione (i tremori del morbo di Parkinson e i tremori essenziali si modificano nel tempo). I pazienti più a rischio sono quelli più anziani, per diversi motivi: Interazione con le patologie di base ( p.es . il parkinsonismo indotto da metoclopramide è più intenso in caso di

304 - Scialorrea da farmaci

[Tempo di lettura: 4 min]    Diversi farmaci, utilizzati soprattutto in psichiatria, possono causare ipersalivazione. È un problema che può ridurre la qualità di vita dei pazienti e a volte avere complicanze gravi. La scialorrea (ipersalivazione) è un sintomo soggettivo, percepito dal paziente come eccessiva produzione di saliva. A volte si presenta con una fuoriuscita di saliva dalla bocca perché il soggetto non riesce a trattenerla dietro la barriera labiale. È un fenomeno comune nei neonati, ma è considerata anomala dopo i quattro anni. Può essere causata dalla diminuzione della frequenza di deglutizione o dall’aumento della produzione di saliva. Le cause possono essere locali (odontalgia, protesi mal posizionate, infiammazioni o infezioni orali), neurologiche (nevralgia trigeminale, tumori cerebrali, morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica), tossiche (mercurio, iodio, fluoruro di sodio, funghi velenosi, nicotina) o farmacologiche. La scialorrea può avere diverse cons