I diabetologi stanno cominciando a utilizzare con una certa frequenza le gliflozine, antibiabetici della classe degli inibitori della SGLT2 (dapagliflozin, FORXIGA®, empagliflozin, JARDIANCE® e canaglifozin, INVOKANA®).
Alcuni diabetologi non sono del tutto convinti di questi farmaci: a fronte di un beneficio da dimostrare sulle complicanze a lungo termine del diabete, gli effetti collaterali possono essere diversi e non banali: infezioni urinarie, disidratazione, ipotensione e ipovolemia per l'aumento della diuresi, con maggior rischio di insufficienza renale, e aumento dell'ematocrito, un fattore di rischio per trombosi. Ciononostante il loro utilizzo probabilmente aumenterà nel prossimo futuro.
Fin da quando sono stati messi in commercio, per questi farmaci è stata notata la possibile comparsa di chetoacidosi diabetica. Non si tratta di un evento frequentissimo, ma se non riconosciuto è potenzialmente fatale (nelle notifiche all'EMA sono registrati 8 decessi su 752 casi sospetti per dapagliflozin e 6 su 541 per empagliflozin).
La chetoacidosi diabetica si verifica quando l'organismo copre il suo fabbisogno energetico utilizzando i grassi al posto del glucosio a causa della carenza di insulina. I corpi chetonici che ne risultano causano acidosi quando si esaurisce la capacità tampone. La maggior parte dei pazienti con chetoacidosi diabetica ha un diabete di tipo 1, ma la complicanza si verifica anche in caso di stress o malattie acute nel diabete di tipo 2 mal controllato. L'esatto meccanismo d'azione delle glifozine nello sviluppo della chetoacidosi diabetica non è stato ancora chiarito. Tra i meccanismi possibili si ipotizza una diminuzione dei livelli di insulina in seguito alla perdita di glucosio per via renale indotta da questi farmaci e un aumento diretto o indiretto di glucagone con maggiore lipolisi e produzione di corpi chetonici, che potrebbe scatenare la chetoacidosi se vengono aggiunti ulteriori fattori di rischio.
I pazienti trattati con inibitori della SGLT2 particolarmente a rischio di chetoacidosi sono quelli con bassa o nessuna riserva di cellule beta, cioè i pazienti con diabete di tipo 2 di lunga data, i pazienti trattati off-label con diabete di tipo 1 o quelli con diabete autoimmune latente in età adulta (LADA) che può essere slatentizzato da questa terapia.
I possibili fattori scatenanti sono diversi:
- Riduzione marcata della dose di insulina quando si associano le glifozine
- Consumo eccessivo di alcol
- Dieta a basso contenuto di carboidrati
- Malattie acute
- Interventi chirurgici
- Sforzo fisico intenso (che porta a un aumento del fabbisogno di insulina)
- Restrizione dell'assunzione di alimenti
- Disidratazione
Raccomandazioni aggiornate sul rischio di chetoacidosi diabetica degli inibitori SGLT2
AIFA: Nota Informativa Importante sugli inibitori SGLT2 (14/03/2016)
Pubblicato: 13/08/2018 Aggiornato: 19/10/2018
Oggi mi sono casualmente imbattuta in questo articolo del NEJM.
RispondiEliminahttps://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1811744?query=featured_home
Le conclusioni di questo studio sono le seguenti: In patients with type 2 diabetes and kidney disease, the risk of kidney failure and cardiovascular events was lower in the canagliflozin group than in the placebo group at a median follow-up of 2.62 years.
Erano pz pure in trattamento con ACEi/ARB...
Ai posteri, come sempre, l'ardua sentenza!
Ciao Elisa. Grazie per il commento. Il problema della disidratazione durante la terapia con le glifozine che ho segnalato in lista di fatto sarebbe più il rischio di chetoacidosi e non tanto di insufficienza renale (come con gli altri farmaci citati).
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