Un recente studio svedese ha contraddetto il concetto di irreversibilità del danno renale da litio, riaccendendo il dibattito su sicurezza e gestione di questo farmaco per i disturbi bipolari. [Lettura 6 min]
Il litio è l’unico farmaco che ha dimostrato di ridurre il rischio suicidario e la mortalità per tutte le cause nei pazienti con disturbi dell’umore.
Ancora oggi questo farmaco è fondamentale nella terapia di mantenimento dei disturbi bipolari e nella gestione degli episodi acuti di alterazione dell’umore.
È tuttavia un farmaco con una ristretta finestra terapeutica e un profilo di effetti avversi complesso, come discusso in alcuni post pubblicati negli anni scorsi.
Uno degli effetti avversi più rilevanti è il rischio di sviluppare una insufficienza renale cronica (IRC), complicanza ampiamente descritta in letteratura, ma non ancora completamente caratterizzata nei suoi aspetti fisiopatologici e clinici.
Le prime segnalazioni di nefropatia in pazienti trattati con litio risalgono al 1977. Gli aspetti bioptici evidenziavano prevalentemente atrofia tubulare e fibrosi interstiziale, compatibili con una nefropatia tubulo-interstiziale cronica.
Queste osservazioni sono state successivamente confermate da numerosi studi istopatologici.
L’associazione tra terapia con litio e IRC è stata dibattuta per anni: recenti revisioni sistematiche del 2022 hanno tuttavia documentato un incremento significativo del rischio di IRC incidente nei pazienti trattati a lungo termine. La progressione verso la malattia renale allo stadio terminale, tuttavia, si è dimostrata un evento raro.
Un aspetto importante è l’influenza della concentrazione ematica di litio, un parametro modificabile, sullo sviluppo di IRC. Alcuni studi recenti suggeriscono che concentrazioni superiori a 0,6-0,8 mmol/L potrebbero essere associate a un rischio significativamente maggiore di danno renale.
Uno studio condotto in Islanda e pubblicato a fine 2024 ha valutato il rischio di IRC in stadio ≥3 in soggetti trattati con litio, confrontati con pazienti affetti da disturbi dell’umore ma non esposti al litio.
Punti Chiave
- Il litio è efficace nei disturbi bipolari ma può causare danno renale cronico.
- Il rischio di danno renale aumenta con livelli ematici di litio superiori a 0,6 mmol/L.
- La sospensione del litio può rallentare o migliorare la funzione renale.
- Fattori di rischio: età, eGFR basso, diabete, storia di danno renale acuto.
- È necessario valutare il rischio-beneficio
Ancora oggi questo farmaco è fondamentale nella terapia di mantenimento dei disturbi bipolari e nella gestione degli episodi acuti di alterazione dell’umore.
È tuttavia un farmaco con una ristretta finestra terapeutica e un profilo di effetti avversi complesso, come discusso in alcuni post pubblicati negli anni scorsi.
Uno degli effetti avversi più rilevanti è il rischio di sviluppare una insufficienza renale cronica (IRC), complicanza ampiamente descritta in letteratura, ma non ancora completamente caratterizzata nei suoi aspetti fisiopatologici e clinici.
Le prime segnalazioni di nefropatia in pazienti trattati con litio risalgono al 1977. Gli aspetti bioptici evidenziavano prevalentemente atrofia tubulare e fibrosi interstiziale, compatibili con una nefropatia tubulo-interstiziale cronica.
Queste osservazioni sono state successivamente confermate da numerosi studi istopatologici.
L’associazione tra terapia con litio e IRC è stata dibattuta per anni: recenti revisioni sistematiche del 2022 hanno tuttavia documentato un incremento significativo del rischio di IRC incidente nei pazienti trattati a lungo termine. La progressione verso la malattia renale allo stadio terminale, tuttavia, si è dimostrata un evento raro.
Un aspetto importante è l’influenza della concentrazione ematica di litio, un parametro modificabile, sullo sviluppo di IRC. Alcuni studi recenti suggeriscono che concentrazioni superiori a 0,6-0,8 mmol/L potrebbero essere associate a un rischio significativamente maggiore di danno renale.
Uno studio condotto in Islanda e pubblicato a fine 2024 ha valutato il rischio di IRC in stadio ≥3 in soggetti trattati con litio, confrontati con pazienti affetti da disturbi dell’umore ma non esposti al litio.
Lo studio ha analizzato anche l’associazione tra concentrazione ematica media di litio e altri potenziali fattori di rischio nello sviluppo del danno renale.
Circa 2000 pazienti in terapia con litio (età media 49 anni; follow-up medio, 5,7 anni) sono stati confrontati con ≈1200 pazienti non esposti al litio (età media 38 anni; follow-up medio, 4,4 anni).
Una IRC di stadio ≥3 si è sviluppata nel 10% di chi assumeva litio e nel 3% dei soggetti non esposti (hazard ratio, HR, 1,9, dopo aggiustamento per età, sesso e comorbidità).
Il rischio di sviluppare una IRC di stadio ≥3 era associato ai livelli ematici di litio: rispetto ai non esposti, il rischio era significativamente maggiore nei pazienti con litiemia media negli intervalli terapeutici moderati e alti (0,60-0,79 mmol/L: HR, 2,9; 0,80-0,99 mmol/L: HR, 4,3) ma non nell’intervallo terapeutico basso (0,30-0,59 mmol/L).
Fattori di rischio significativi per lo sviluppo di una CKD di stadio ≥3:
Lo studio ha contraddetto il vecchio concetto di un “punto di non ritorno” oltre il quale il danno renale diventerebbe irreversibile, dimostrando che anche nei pazienti con IRC avanzata (eGFR <30 mL/min/1,73 m²) si può osservare un rallentamento del declino funzionale.
Il beneficio osservato dopo la sospensione e il nuovo peggioramento dopo la reintroduzione del litio stabiliscono una chiara relazione causale, contrariamente a quanto suggerito da alcuni studi precedenti che non avevano rilevato differenze significative.
Questo studio retrospettivo ha esaminato 168 pazienti adulti (età media 62 anni) trattati con litio per almeno 4,5 anni che hanno sospeso la terapia.
Veniva confrontata la variazione annuale del filtrato glomerulare stimato (eGFR) nei 5 anni precedenti e successivi alla sospensione del litio, con un’analisi corretta per potenziali fattori confondenti (sesso, diabete e ipertensione).
Il beneficio nefrologico persiste nel medio termine (almeno 5 anni) e mostra una correlazione inversa con il livello di eGFR al momento della sospensione - con miglioramenti più marcati nei pazienti con funzione renale già compromessa.
La natura bidirezionale dell’associazione, dimostrata dalla ripresa del declino precedente della funzione renale dopo la reintroduzione del litio, stabilisce una convincente relazione causale tra esposizione al farmaco e nefrotossicità. Sono dati che confutano il concetto precedente di un “punto di non ritorno” irreversibile nella nefropatia da litio, suggerendo una parziale reversibilità del danno tubulo-interstiziale.
A livello clinico la decisione deve necessariamente bilanciare il potenziale beneficio nefrologico con il sostanziale rischio psichiatrico, caratterizzato da aumentato tasso di ricadute, ricoveri e potenziali comportamenti suicidari in sottogruppi specifici di pazienti (particolarmente il disturbo bipolare tipo I e disturbo schizoaffettivo).
Circa 2000 pazienti in terapia con litio (età media 49 anni; follow-up medio, 5,7 anni) sono stati confrontati con ≈1200 pazienti non esposti al litio (età media 38 anni; follow-up medio, 4,4 anni).
Una IRC di stadio ≥3 si è sviluppata nel 10% di chi assumeva litio e nel 3% dei soggetti non esposti (hazard ratio, HR, 1,9, dopo aggiustamento per età, sesso e comorbidità).
Il rischio di sviluppare una IRC di stadio ≥3 era associato ai livelli ematici di litio: rispetto ai non esposti, il rischio era significativamente maggiore nei pazienti con litiemia media negli intervalli terapeutici moderati e alti (0,60-0,79 mmol/L: HR, 2,9; 0,80-0,99 mmol/L: HR, 4,3) ma non nell’intervallo terapeutico basso (0,30-0,59 mmol/L).
Fattori di rischio significativi per lo sviluppo di una CKD di stadio ≥3:
- età avanzata
- eGFR iniziale ridotto
- diabete mellito
- anamnesi di lesioni renali acute
Lo studio ha contraddetto il vecchio concetto di un “punto di non ritorno” oltre il quale il danno renale diventerebbe irreversibile, dimostrando che anche nei pazienti con IRC avanzata (eGFR <30 mL/min/1,73 m²) si può osservare un rallentamento del declino funzionale.
Il beneficio osservato dopo la sospensione e il nuovo peggioramento dopo la reintroduzione del litio stabiliscono una chiara relazione causale, contrariamente a quanto suggerito da alcuni studi precedenti che non avevano rilevato differenze significative.
Questo studio retrospettivo ha esaminato 168 pazienti adulti (età media 62 anni) trattati con litio per almeno 4,5 anni che hanno sospeso la terapia.
Veniva confrontata la variazione annuale del filtrato glomerulare stimato (eGFR) nei 5 anni precedenti e successivi alla sospensione del litio, con un’analisi corretta per potenziali fattori confondenti (sesso, diabete e ipertensione).
- Importante rallentamento del declino renale dopo la sospensione:
- Prima della sospensione: declino medio annuo di eGFR = -1,58 mL/min
- Dopo la sospensione: declino medio annuo = -0,023 mL/min
- Differenza: miglioramento di +1,55 mL/min/anno
- Beneficio progressivamente maggiore nei pazienti con funzione renale più compromessa
- Ripresa del declino in caso di reintroduzione del litio:
- Nei 48 pazienti che hanno ripreso il litio, il declino di eGFR è tornato ai livelli precedenti: -1,71 mL/min/anno
- Differenza rispetto al periodo senza litio: -1,52 mL/min/anno
- Pattern di recupero nei singoli pazienti:
- Nel 60% dei pazienti si è osservato un miglioramento della pendenza della curva di eGFR
- Nel 26% la pendenza è diventata addirittura positiva (recupero di funzione renale)
- Nei pazienti con eGFR <45 mL/min, il miglioramento è stato osservato nel 79% dei casi
Implicazioni cliniche
- Monitoraggio sistematico: è essenziale un monitoraggio regolare della funzione renale e dei livelli ematici di litio per identificare precocemente i pazienti a rischio.
- Approccio decisionale bilanciato: la decisione di sospendere il litio deve bilanciare il potenziale beneficio sulla funzione renale con il rischio psichiatrico (recidive, ricoveri, comportamenti suicidari).
- Considerazione del rischio differenziale: i pazienti con IRC già presente o con declino rapido dell’eGFR potrebbero trarre maggiore beneficio dalla sospensione.
- Valutazione multidisciplinare: è consigliabile un approccio integrato psichiatrico-nefrologico per la gestione ottimale di questi pazienti.
- Stratificazione del rischio: fattori come età avanzata, eGFR basale ridotto, diabete e storia di danno renale acuto devono essere considerati nella valutazione del rapporto rischio-beneficio della terapia con litio.
Conclusioni
I risultati di questo studio forniscono evidenze robuste a favore di un miglioramento prognostico della funzione renale dopo la sospensione del litio, anche in pazienti con IRC avanzata.Il beneficio nefrologico persiste nel medio termine (almeno 5 anni) e mostra una correlazione inversa con il livello di eGFR al momento della sospensione - con miglioramenti più marcati nei pazienti con funzione renale già compromessa.
La natura bidirezionale dell’associazione, dimostrata dalla ripresa del declino precedente della funzione renale dopo la reintroduzione del litio, stabilisce una convincente relazione causale tra esposizione al farmaco e nefrotossicità. Sono dati che confutano il concetto precedente di un “punto di non ritorno” irreversibile nella nefropatia da litio, suggerendo una parziale reversibilità del danno tubulo-interstiziale.
A livello clinico la decisione deve necessariamente bilanciare il potenziale beneficio nefrologico con il sostanziale rischio psichiatrico, caratterizzato da aumentato tasso di ricadute, ricoveri e potenziali comportamenti suicidari in sottogruppi specifici di pazienti (particolarmente il disturbo bipolare tipo I e disturbo schizoaffettivo).
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📚 Bibliografia
- Kidney function decline improves after lithium discontinuation.
J Intern Med. 2025 Mar;297(3):289-299 - Risk of chronic kidney disease in individuals on lithium therapy in Iceland: a nationwide retrospective cohort study.
The Lancet Psychiatry 2024 ;11(12):1002–11.
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